di Emidio Diodato
Nel suo discorso di addio, pronunciato il 10 gennaio 2017, Barack Obama non poteva tralasciare un riferimento alla comunicazione politica. La campagna presidenziale di Trump rimbombava ancora con i suoi contrasti, con il roborante linguaggio dell’outsider e la diffusione sistematica di notizie false. Ma Obama non si soffermò sul linguaggio di Trump o sul ruolo della Russia nella diffusione di notizie che creano un clima di post-verità. Parlò, più in generale,
di Emidio Diodato

Nel suo discorso di addio, pronunciato il 10 gennaio 2017, Barack Obama non poteva tralasciare un riferimento alla comunicazione politica. La campagna presidenziale di Trump rimbombava ancora con i suoi contrasti, con il roborante linguaggio dell’outsider e la diffusione sistematica di notizie false. Ma Obama non si soffermò sul linguaggio di Trump o sul ruolo della Russia nella diffusione di notizie che creano un clima di post-verità. Parlò, più in generale, dei rischi per la democrazia alimentati dalla formazione di “bolle” in cui i cittadini si rifugiano a causa dell’incertezza sul futuro. L’ex Presidente sapeva bene di cosa stesse parlando: anche lui era stato un outsider, giunto alla Casa Bianca nel 2008 sull’onda dell’incertezza alimentata dalla crisi finanziaria, e grazie all’abile impiego dei nuovi media. Al suo fianco aveva avuto Eli Pariser, autore nel 2011 di The Filter Bubble, un libro dove si spiega come funziona la personalizzazione delle ricerche su Google, con l’impiego di algoritmi. Delle piccole “cimici” (cookies) consentono ai siti di riconoscere i visitatori, entrando nell’intimità di ciascuno e filtrando tutte le informazioni provenienti dal mondo esterno. Così si formano “bolle” mediatiche autoreferenziali, costruite a misura dei gusti e delle convinzioni di ciascuno. Lentamente gli individui ricevono suggerimenti mirati che creano una sorta di spazio interno da abitare, protetto da interferenze esterne non gradite, finendo con l’accettare solo quelle informazioni, vere o false che siano, che si adattano alle loro opinioni.

Senza cedere al determinismo mass-mediologico, in Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione (Editrice Morcelliana, euro 16) Damiano Palano si interroga sugli effetti dell’emergere di queste “bolle” sulla democrazia. Così come la televisione è stata al centro di quel cambiamento della rappresentanza politica che, nel corso di qualche decennio, ha trasformato la democrazia dei partiti in democrazia del pubblico, oggi la personalizzazione dell’offerta comunicativa su piattaforme come Google, Facebook e Twitter ha iniziato ad agire come un fattore di straordinaria importanza verso una democrazia delle “bolle”. Ciò non avviene solo negli Stati Uniti. Anzi, ancora una volta il caso italiano è anticipatore. Il pubblico televisivo di qualche anno fa, almeno da quando entrò in scena Silvio Berlusconi, si è scomposto e frammentato. Si pensi al “partito piattaforma” del Movimento 5 Stelle, che aiuta a cogliere se non altro la sagoma di quello che potrebbe essere il partito egemone nella bubble democracy. Ben oltre il caso italiano e quello statunitense, il rischio delle democrazie contemporanee è che in un mondo di “bolle” – sempre meno capaci di condividere qualsiasi tipo di esperienza pubblica – le istituzioni democratiche non sono più alimentare dal dibattito pubblico. Non si tratta di rimpiangere il pubblico televisivo della precedente stagione, memori di quanto sia stato biasimato in passato, ma di comprendere la logica dei mutamenti contemporanei e, in particolare, le nuove opportunità di mobilitazione di forze neo-populiste radicali che, polarizzando un sistema politico orfano del pubblico, rafforzano le tendenze centrifughe di società già provate dalla crisi finanziaria.

Il problema politico più grave creato dalle “bolle” consiste nel rendere sempre più difficile il dibattito pubblico. Se rafforzare l’impressione che il mondo ruoti intorno ai nostri gusti e convinzioni può favorire gli acquisti online, lo stesso non avviene per prendere decisioni collettive. Dentro un affresco molto ampio che tocca tutti i temi e i dibattiti più rilevanti della comunicazione politica, Palano va al cuore del quesito democratico – ponendolo, in conclusione, come problema di tenuta della comunità politica – con l’aggiunta di alcuni spunti di riflessione filosofica o di teoria politica. Il principale, a mio parere, è quello che concerne i mutamenti delle relazioni fiduciarie su cui si fondano le comunità politiche democratiche. Difficile dire se sono gli algoritmi a chiuderci – a nostra insaputa – dentro una “bolla”, o se non siamo noi stessi a farlo con le nostre scelte quotidiane di consumo mediale. Volontaria o involontaria che sia, resta il fatto che la nostra scelta di essere (cittadini) digitali alimenta la sfiducia per il mondo esterno, tanto nei confronti dei partiti quanto delle istituzioni pubbliche nazionali e internazionali. Ciò genera a sua volta una progressiva dispersione del potere precedentemente concentrato nelle mani delle grandi organizzazioni: partiti, Stati nazionali, enti intergovernativi. Ma se il potere si trasforma, nel senso che non si dissolve, allora gli esiti di questo processo sono imprevedibili.

Palano si conferma come un punto di riferimento irrinunciabile del dibattito filosofico e politologico contemporaneo. Anche in questo libro prende il lettore per mano, facendolo entrare sin dall’introduzione in un’astronave in cui, con il trascorrere del tempo, ci si persuade che il mondo coincida con il dentro, non esistendo nulla al di fuori di esso. È la storia degli Orfani del cielo i quali, nel corso di un viaggio lungo secoli, hanno dimenticato non solo la Terra da cui sono partiti ma anche l’obiettivo della loro missione, ossia trovare un mondo migliore. L’uso del romanzo distopico è un modo efficace di rendere accessibile e democratico il discorso filosofico e politologico. Palano ci insegna che il pessimismo dell’intelligenza non è mai nemico dell’ottimismo della volontà. Del resto, come chiarì anni orsono Peter Sloterdijk (il quale torna costantemente alla mente leggendo il libro di Palano), la possibilità per l’essere umano di pensare uno spazio interno da abitare, appunto una “bolla”, è legata a una precarietà di fondo che non permette mai al mondo intimo di acquisire lo status di “sfera” autosufficiente. Ogni individuo è il resto instabile di una coppia, condannato ad essere vincolato alla creazione di sempre nuove “bolle”.

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