di Angelica Stramazzi

Come ha ricordato Ivo Germano su queste colonne, di e su Matteo Renzi è stato detto tutto ed il contrario di tutto, non fosse altro perché l’Italia è un paese democratico e chiunque, nei termini e nei modi legittimamente consentiti, può esprimere la propria opinione, persino dissentire e non apprezzare le doti di colui che – coraggiosamente, inutile negarlo – ha osato sfidare l’intera nomenclatura del Partito Democratico. Una classe dirigente che, come (purtroppo) accade in Italia, è rimasta sostanzialmente la stessa, tranne qualche rapida e dimenticabile comparsata di certi protagonisti nell’agone politico. Per il resto, i personaggi e le personalità di spicco del gruppo “postcomunista” sono rimaste invariate, facendo registrare – ahinoi – una grave perdita in termini di ricambio generazionale sia interno allo stesso Pd, dopo le diverse mutazione genetiche e contenutistiche dello stesso, sia per quanto concerne la qualità complessiva del dibattito politico e democratico del paese.

Tralasciando in questa sede il fatto che il centrodestra, orfano di un padre-padrone che ha comunque dato molto (fino ad un certo momento) alla definizione di quel popolo dei moderati che assai difficilmente può essere canalizzato entro precisi binari, dovrebbe assolutamente mutuare l’opzione delle primarie per il rinnovamento del proprio schieramento, pena la dissoluzione dall’arco costituzionale e – ancor peggio – dall’animo di chi, un po’ timidamente, si definisce “moderato”, è stato da più parti osservato come nel suo tour in camper tra le province della penisola, il giovane sindaco di Firenze non abbia mai esposto, accanto al suo preponderante “Adesso”, con tanto di punto esclamativo, il simbolo del Partito Democratico. Che, al netto di ventilate ipotesi di scissione, resta pur sempre il suo partito. Dando per scontato che il “rottamatore” possa utilizzare tale simbolo, e facendo finta che questa prerogativa non sia ad uso (e consumo) esclusivo del segretario Bersani, bisognerebbe indagare le ragioni del rifiuto di esporre suddetto simbolo, un’icona partitica in cui comunque milioni di elettori si riconoscono. In fondo Renzi corre (anche) per rifondare il Pd, per rinnovarlo dall’interno e per archiviare la stagione governativa e parlamentare di chi, nella propria vita, non ha mai fatto altro tranne che occuparsi (e vivere) di politica.

Ma in che modo potrebbe quell’“Adesso” venir accostato al timido “Partito Democratico”? E come potrebbero conciliarsi i colori del rosso e del blu con quelli meno accattivanti del bianco, verde e rosso? Con tutta evidenza, si tratterebbe di una forzatura, di un’accozzaglia di simboli e sfumature cromatiche inconcepibile per uno che si lascia guidare dallo spin doctor berlusconiano Giorgio Gori. E visto che l’aspetto comunicativo è uno dei fattori assolutamente non trascurabili per chiunque desideri misurarsi con il consenso popolare e con il mondo della politica, meglio non rischiare e lasciare che il blu ed il rosso, il punto esclamativo e l’insegna vistosa dell’”Adesso” (o mai più) campeggino in tutti i luoghi toccati dal sindaco di Firenze. Il tempo ci dirà se archiviare o meno anche il simbolo del Pd.