di Francesca Varasano
“La puntualità è la virtù dei re”, recita un proverbio russo per dire che non c’è raffinatezza più sublime del rispetto del tempo altrui. Allo stesso modo, essere concisi nel parlare e nello scrivere è riguardo nei confronti dell’interlocutore, a cui dobbiamo la cortesia di essere preparati e l’eleganza della sobrietà: “parla, e sie breve e arguto”, ossia ricco d’argomenti – e cauto – nella brevità, dice Virgilio a Dante che nel Purgatorio si accinge a parlare agli invidiosi.
di Francesca Varasano

“La puntualità è la virtù dei re”, recita un proverbio russo per dire che non c’è raffinatezza più sublime del rispetto del tempo altrui. Allo stesso modo, essere concisi nel parlare e nello scrivere è riguardo nei confronti dell’interlocutore, a cui dobbiamo la cortesia di essere preparati e l’eleganza della sobrietà: “parla, e sie breve e arguto”, ossia ricco d’argomenti – e cauto – nella brevità, dice Virgilio a Dante che nel Purgatorio si accinge a parlare agli invidiosi. Se il linguaggio umano è per sua natura impreciso e fallace, la faticosa ricerca della parola utile ed esatta è necessaria all’armonia dei rapporti sociali.

In quest’epoca di ciarlatani, “quando si parla molto e a casaccio come in un’osteria”, Georgi Gospodinov ha scritto una raccolta di racconti veloci che solo recentemente è stata tradotta in italiano: Tutti i nostri corpi – Storie superbrevi (Edizioni Voland).

Cenerentola della letteratura, il racconto è spesso ingiustamente relegato alla narrativa cosiddetta per ragazzi o un lusso riservato agli scrittori di successo: “Il momento è delicato” di Niccolò Ammaniti prende il titolo dalla risposta che l’autore riceveva regolarmente dagli editori alla proposta di pubblicare racconti – in sostanza: il mercato è difficile, meglio un romanzo che è più appetibile, e magari anche più facile da pubblicizzare. Certo, nel 2013 Alice Munro – specializzata in storie brevi – ha vinto un Nobel per la letteratura, ma di questo si è infatti più volte sottolineata l’eccezionalità (presto dimenticata quando lo stesso premio è andato a Bob Dylan).  Eppure, un racconto ben strutturato raccoglie un universo intero e regala un’atmosfera anche al lettore distratto.

Bulgaro come Elias Canetti – forse lo scrittore più eminentemente europeo (per vissuto e indole) del secolo scorso -, in Tutti i nostri corpi Gospadinov tesse storia e geografia fra piccole cose. In centotrè storie racconta la Bulgaria degli anni ’90, dopo il collasso dei regimi comunisti – un posto in cui si può lottare per una sola mela, manco matura; tratteggia la Bulgaria contemporanea con velata malinconia (“qui è così, il bello preoccupa”). Riesce a celebrare la bistrattata minoranza turcofona, i cui odori e sapori lo fanno sentire a casa ovunque. Straordinariamente contemporaneo (il racconto che dà il titolo al libro descrive la riunione dei corpi, dal bambino che fu al vecchio che è diventato, al capezzale di un malato in ospedale), Gospadinov apre all’assurdo o inaspettato: così rivisita la favola del brutto anatroccolo, che sarà pure diventato un bel cigno, ma è rimasto infelice. Fa appello al meraviglioso concetto di “geografia della letteratura”, che sin da piccoli ci porta a vedere posti in modo ben più nitido dei viaggi che faremo, e crea ricordi e patrie che non deludono mai: così apre per noi una piccola finestra luminosa sulla Bulgaria, angolo d’Europa che dimentichiamo di visitare. Proprio questa geografia, come ogni lettore sa, può renderci davvero uniti nella diversità del nostro continente: impegnati a spiegare il nostro, e dunque a capirlo, mentre osserviamo chi in fondo ci assomiglia.

Pensiamo alla valanga di parole inutili da dire che ci travolge ogni giorno. La miriade di email che ci investe al lavoro, troppo spesso senza un vero messaggio, rassegnati come siamo all’idea che produrre qualsiasi cosa – pure se a dispetto della logica -, sia segno di efficienza, confusi al punto di credere che il movimento sia comunque progresso (non lo è). La politica cacofonica, gli slogan di oscena imbecillità e le metafore sdrucite ripetute fino allo sfinimento: significavano poco o niente all’inizio, alla fine offendono le intelligenze.

Un racconto ben assestato è anche un antidoto all’inflazione di frasi che ci circonda, è balsamo per il pensiero e, aggiunge Gospadinov a margine, “restituisce la misura di ogni parola”.

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