di Marcello Marino
La fine della sinistra è nel commentario al reddito di cittadinanza che scorre sui social media (e non solo), ridondante di battute irridenti, di sberleffo misto a risentimento. I destinatari di quella riforma vengono indicati come “nullafacenti” o “furbi” in nome, evidentemente, o dell’apologia del lavoro come spartiacque tra chi non ce l’ha e coloro che avendone uno sono invece portatori di una dignità superiore e un superiore diritto di cittadinanza,
di Marcello Marino

La fine della sinistra è nel commentario al reddito di cittadinanza che scorre sui social media (e non solo), ridondante di battute irridenti, di sberleffo misto a risentimento. I destinatari di quella riforma vengono indicati come “nullafacenti” o “furbi” in nome, evidentemente, o dell’apologia del lavoro come spartiacque tra chi non ce l’ha e coloro che avendone uno sono invece portatori di una dignità superiore e un superiore diritto di cittadinanza, o della presunzione di colpevolezza che albergherebbe nello stato di necessità di molta gente. Stupisce che tanta ironia e avversione a questa iniziativa dei cinquestelle arrivi proprio da sinistra. È una cosa che non si può spiegare semplicemente con la logica dell’antagonismo o dell’opposizione. Dietro questa posizione c’è molto di più, c’è prima di tutto la prova di quella trasformazione ormai silenziosamente acquisita che ha portato molti di coloro che si definiscono di sinistra a introiettare una semantica neo-liberista. Questo aspetto sembra ormai abbastanza chiaro, è sufficiente verificare con quale frequenza i rappresentanti della sinistra (in modo particolare del Pd) si trovino essenzialmente a sostenere le proprie ragioni in accordo con quelli che dovrebbero essere i loro naturali antagonisti politici.

È evidente che la riforma – come tutte le riforme – è discutibile, ed è altrettanto chiaro che le motivazioni economico-finanziarie hanno una loro rilevanza, ma è discutibile proprio a partire da queste prospettive, che non sono neutrali come si vorrebbe far credere (niente è neutrale in politica). In assenza di verità assolute, anteporre l’elemento ragionieristico a quello sociale è un punto di vista, e lo è anche ritenere che le indicazioni e le reazioni dei mercati siano cruciali per le scelte economiche del paese e che per questo precedano ogni decisione politica. Punti di vista, ma non di sinistra. Legittimo – e anche tristemente vero – ritenere che le società avranno sempre le loro sacche di povertà ma inaccettabile per un uomo o una donna di sinistra, che invece dovrebbero combattere e rigettare energicamente questo assunto. Legittimo pensare che una società funzioni solo se tutti i suoi membri si attivano individualmente per trovarsi o crearsi un lavoro, ma non è di sinistra. E non è di sinistra pensare che lo Stato non debba redistribuire le risorse facendo particolare attenzione ai più deboli, dal momento che egualitarismo e giustizia sociale sono sempre state le parole d’ordine della sinistra.

È singolare che da sinistra, appellandosi coerentemente ai propri princìpi, ci si scagli contro le politiche di non accoglienza stigmatizzando una posizione che non tiene conto dell’imperativo etico di soccorrere e aiutare i più deboli, e poi ci si esponga con tale nonchalance per ribadire che un’azione di soccorso economico alla povertà è “diseducativa” se non pericolosa, ché il povero con qualche soldo in tasca finisce per sentirsi ricco e non si attiva più come dovrebbe per uscire dalla sua condizione. È un po’ come prendere alla lettera Gramsci quando, dai Quaderni del carcere, nel descrivere gli effetti della cultura della chiesa cattolica, osservava che “I poveri devono contentarsi della loro sorte, poiché le distinzioni di classe e la distribuzione della ricchezza sono disposizioni di dio e sarebbe empio cercare di eliminarle”. Fin troppo facile capire chi dovrebbe essere considerato dio oggi da quella prospettiva, ma l’antagonismo di classe è altra faccenda ormai archiviata a sinistra.

Così si passa semplicemente all’ironia, alla battuta, alla ridicolizzazione, ancorché tragica, della scelta dell’avversario politico, il quale ha in sé il germe del male e per questo qualunque cosa produca non può che esserne contaminata.

È cambiata la lingua che, adattandosi al mutato pensiero, risolve il pericolo di discrasia tra ciò che si dichiara e ciò che effettivamente si pensa, cosa che risulta sempre insopportabile. Si passa così ad una moderna forma di adaequatio nel solco del recepimento di un modello di argomentazione stringente e tutto sommato rassicurante, come si conviene ad ogni tecnicismo. Avviene quello che Walter Benjamin intravedeva nel processo di dissoluzione della sinistra in Germania: “Il conformismo, che è sempre stato di casa nella socialdemocrazia, non riguarda solo la sua tattica politica, ma anche le sue idee economiche. Ed è una delle cause del suo sfacelo successivo. Nulla ha corrotto la classe operaia tedesca come l’opinione di nuotare con la corrente”, diceva nelle sue tesi di filosofia della storia.

Ora che la separazione dalla classe operaia è acclarata e anche coloro che si trovano ai margini della società non sembrano godere delle attenzioni della sinistra (in particolar modo del suo massimo partito) né del suo mutato popolo, rimane solo questo artificio retorico, che suona irrispettoso e cinico perché mentre il dio cattolico cui alludeva Gramsci comportava comunque l’istituto della carità, quello della nuova sinistra non contempla subordinate. Il linguaggio utilizzato, specchio di questo cambiamento, non teme di usare parole come “assistenzialismo” per stigmatizzare la scelta del reddito di cittadinanza, la stessa espressione usata da tutti gli altri detrattori, obiettivamente non di sinistra. Eppure il nostro è (ancora in buona parte) un modello assistenziale, fortemente voluto soprattutto dalla sinistra, si pensi al servizio sanitario, ai princìpi di accesso all’assistenza o all’istruzione.

“La sinistra è l’idea che se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli puoi fare davvero un mondo migliore per tutti”. La frase è di Bersani, pronunciata all’epoca in cui era segretario del Pd. Contiene ancora i tratti della sintassi socialista, una forma riconoscibile e coerente con quelle radici politiche. Smarrita quella prospettiva (guardare il mondo con gli occhi del più debole) decade anche l’idea valoriale e universale di mondo (migliore per “tutti”), dove quel “migliore” non necessitava di traduzioni perché rinviava implicitamente alle categorie e ai valori della sinistra (giustizia sociale, uguaglianza, redistribuzione del reddito). Si è imposto un diverso argomentare, la semantica dell’avvenuta mutazione, senza nemmeno più Moretti a intimare di dire qualcosa di sinistra.

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