di Chiara Moroni
Da qualche anno viviamo nel contesto di una pericolosa orizzontalità e di una disintermediazione delle opinioni che si fondano sulla presunzione che tutti siano capaci di valutare tutto e di analizzare tutto: una dittatura dell’opinione “fai da te” che ha dichiarato, prima in via di principio poi nella pratica, la superfluità della conoscenza e delle competenze così come l’annullamento per inutilità delle élite.
Sono decenni che il sistema dei consumi e della politica lusingano l’opinione del singolo a prescindere da come si sia formata e attraverso quali percorsi cognitivi ed esperienziali.
di Chiara Moroni

Da qualche anno viviamo nel contesto di una pericolosa orizzontalità e di una disintermediazione delle opinioni che si fondano sulla presunzione che tutti siano capaci di valutare tutto e di analizzare tutto: una dittatura dell’opinione “fai da te” che ha dichiarato, prima in via di principio poi nella pratica, la superfluità della conoscenza e delle competenze così come l’annullamento per inutilità delle élite.

Sono decenni che il sistema dei consumi e della politica lusingano l’opinione del singolo a prescindere da come si sia formata e attraverso quali percorsi cognitivi ed esperienziali. I sistemi statistici di rilevazione delle opinioni prima, e gli strumenti di comunicazione e interazione orizzontali e paritari, poi, hanno annullato la funzione e l’influenza che storicamente i leader d’opinione hanno sul contesto sociale e sulle dinamiche d’opinione. Lo status a cui tende la società è privo della guida autorevole delle élite. In politica tale processo si può dire concluso con successo, così come per l’informazione, ora tocca alla medicina e alla scienza, presto al sistema economico.

Questi flussi d’opinione orizzontale “fai da te” vengono intercettati da quella politica che non ha più élite competenti e capaci, ma solo uomini e donne che il caso ha voluto a capo di uno Stato, il cui obiettivo non è governare e accompagnare il Paese nel futuro, ma essere rieletti mettendo a sistema l’ignoranza e i limiti del “popolo” o della “gente”, a seconda dell’ideologia a basso tasso di idee che dichiarano di incarnare.

La questione vaccinale, che satura a periodi alterni il dibattito pubblico, è certamente esemplare: a cosa servono le capacità e le conoscenze dei medici e degli scienziati – presumibilmente componenti di una élite con chissà quali obiettivi di dominio e controllo – quando un gran numero di persone, persone “normali” di cui ti puoi fidare, dicono sui social che i vaccini non servono, anzi sono pericolosi, che le medicine sono inutili e dannose e che ti puoi curare con piante e fiori?

In questo clima di complottismo e superficialità, ciò che va sottolineato sono le motivazioni che possono spingere un Ministro della Repubblica a concedere una scappatoia ad un obbligo che il comportamento superficiale e non informato di molti cittadini italiani ha reso necessario.

Sull’autocertificazione vaccinale concessa alle famiglie per accedere al prossimo anno scolastico, ci sono questioni aperte di legittimità di fonte giuridica così come di applicabilità alla materia specifica. Ma quel che sembra evidente è che per trasformare opinioni, che una politica responsabile dovrebbe marginalizzare, in consenso politico, il Ministro della Salute ha scelto di declassare la medicina e le sue fonti di certificazione, in nome di un semplificazione delle procedure documentali inutile perché inesistente la complessità a cui si riferisce; in nome di un diritto di inclusione dei bambini sani che lede chiaramente e pericolosamente quello dei bambini immunodepressi; in nome di un presunto diritto dei singoli all’autodeterminazione, che mette in un pericolo reale la salute pubblica.

Ciò che attiene alla scienza è diventata questione ideologica, ciò che attiene alla salute pubblica è diventata merce di scambio elettorale. Dove ci sta portando questa rivendicazione della legittimità della messa in discussione di tutto, questa democratizzazione delle fonti informative e della presa di parola, questa pretesa di uguaglianza del peso di ogni singola opinione, su tempi che oggetto di opinione non possono essere?

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