di Luca Marfé
Donald Trump e Kim Jong-un.
Occhi negli occhi, mano nella mano, con il Vietnam di nuovo crocevia del mondo intero. Questa volta, però, scenario di pace e non di guerra.
Eccoli in posa, a favore di macchine fotografiche e telecamere. E poi ancora, un attimo dopo, seduti attorno al tavolo di una cena che è già Storia.
Ecco com’è andata.
Ecco il summit di Hanoi in 7 punti.

A dispetto dell’attesa,
di Luca Marfé

Donald Trump e Kim Jong-un.

Occhi negli occhi, mano nella mano, con il Vietnam di nuovo crocevia del mondo intero. Questa volta, però, scenario di pace e non di guerra.

Eccoli in posa, a favore di macchine fotografiche e telecamere. E poi ancora, un attimo dopo, seduti attorno al tavolo di una cena che è già Storia.

Ecco com’è andata.

Ecco il summit di Hanoi in 7 punti.

  1. A dispetto dell’attesa, non c’è tensione. Sorridono, Trump sfoggia la sua famigerata e vigorosa stretta di mano, ma Kim non si lascia travolgere. Al contrario, sembra essere quasi a suo agio al fianco dell’oramai ex nemico giurato. Su tutte le altre, insomma, la cosa più incredibile è l’atmosfera di grande amicizia tra due Paesi che, tra virgolette fino all’altro ieri, in diplomazia non erano soliti rivolgersi neanche la parola.
  2. «Sei un grande leader». Questo l’esordio che il presidente degli Stati Uniti d’America riserva al suo omologo. Con il nordcoreano che, senza pensarci su due volte, gli fa eco e specchio con identica ammirazione: «Questo secondo incontro è il frutto di una scelta politica coraggiosa: la tua». Almeno a parole, dunque, è stima reciproca. Addirittura affetto.
  3. L’economia per il nucleare. È questo il piano della Casa Bianca. Il tycoon insiste su un argomento che aveva già anticipato nei giorni scorsi: «La Corea del Nord ha un potenziale economico enorme». Naturalmente, aveva aggiunto e ha aggiunto anche in quel di Hanoi, «se rinuncia alle sue ambizioni nucleari». Ora il punto vero è uno solo: è ragionevole pensare che, all’indomani di decenni di ricerche e di investimenti, Pyongyang sia disposta ad accontentare Washington con un semplice tratto di penna? Con uno “scusate, ci siamo sbagliati”. E per fare cosa: per puntare al benessere di una popolazione che il benessere neanche lo conosce o magari per qualche punto di prodotto interno lordo? La risposta, molto probabilmente, è no.
  4. Chi ha più da perdere tra Trump e Kim? È una domanda che si sono posti in tanti. Non ci sono dubbi: Trump. In primis, perché al di là delle foto di rito, che incassa e con cui si fregia persino del bis dopo il vertice di Singapore dello scorso anno, di concreto tra le mani non ha un granché. Promesse di smilitarizzazione e di denuclearizzazione. Ma promesse, appunto. Parole, nulla più. Kim, invece, dal canto suo ci guadagna e basta, a prescindere da cosa deciderà di fare del suo arsenale e delle tensioni strategiche con il vicino di Seul e con l’Occidente intero. Il motivo è quasi banale: sta riuscendo nell’impresa inimmaginabile fino a qualche tempo fa di far accettare la sua figura e la sua leadership all’intera comunità internazionale. L’uomo più potente della Terra lo ha “benedetto”, di conseguenza legittimato.
  5. Indovina chi viene a cena. Nientepopodimeno che Kim Jong-un. Citazioni cinematografiche e scherzi a parte, queste occasioni sono tra le poche che consentono di osservare il dittatore nordcoreano al di fuori della serrata propaganda che è solito ritrarlo. Via il copione, dunque, ecco il vero Kim. Composto, quasi ingessato. Con il volto che si sforza di essere serio, persino arcigno, ma che di colpo si lascia andare ad una bella risata. Surreale l’accostamento tra le immagini che arrivano da Hanoi e le storie di crudeltà e di morte che sono associate in patria all’ultimo di una dinastia di tiranni.
  6. A Singapore, il 12 giugno 2018, c’erano più telecamere che alla notte degli Oscar. Ad Hanoi, invece, il numero dei cronisti ammessi è stato volutamente contenuto. Questo per consentire, si fa per dire naturalmente, un quadro per quanto possibile più intimo rispetto al precedente appuntamento. In attesa che ne arrivi un prossimo e un altro ancora. Altro segnale, comunque importante, di relazioni che vanno via via normalizzandosi.
  7. Trump Nobel per la Pace? Altra domanda lecita. La risposta, specie se nel comunicato finale dovessero emergere degli elementi di concretezza, potrebbe davvero essere sì. A Barack Obama, del resto, prima ancora che si accomodasse alla scrivania dello Studio Ovale, lo hanno concesso per le buone intenzioni, in generale per molto meno.

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