di Alessandro Campi
Nell’epoca della semplificazione-banalizzazione d’ogni parola o concetto ad uso del popolo e della lotta politica ridotta a scontro tra personalità a colpi d’insulti o, nella migliore delle ipotesi, a rappresentazione spettacolare da seguire comodamente a casa, un libro di oltre seicento pagine intitolato semplicemente Politica (Mondadori Education, 2009, pp. XVI-672, 48 Euro), che ambisce per di più a presentare “idee per un mondo che cambia”, può apparire un’impresa al tempo stesso temeraria,
di Alessandro Campi

Nell’epoca della semplificazione-banalizzazione d’ogni parola o concetto ad uso del popolo e della lotta politica ridotta a scontro tra personalità a colpi d’insulti o, nella migliore delle ipotesi, a rappresentazione spettacolare da seguire comodamente a casa, un libro di oltre seicento pagine intitolato semplicemente Politica (Mondadori Education, 2009, pp. XVI-672, 48 Euro), che ambisce per di più a presentare “idee per un mondo che cambia”, può apparire un’impresa al tempo stesso temeraria, inutile ed esageratamente ambiziosa. Chi, tra un tweet e un post, si prenderà la briga di compulsare un simile tomo con la concentrazione necessaria a leggerlo?

Domande legittime se non fosse che stiamo parlando dell’opera appena mandata in libreria da Sebastiano Maffettone (a sinistra, nella foto), uno dei più originali filosofi politici italiani, nonché firma nota ai lettori del “Messaggero” e di altri importanti quotidiani italiani. Dopo un lungo magistero accademico (ha insegnato presso la LUISS di Roma ed è stato visiting in alcuni dei più prestigiosi atenei del mondo), Maffettone ha raccolto i suoi insegnamenti e le sue riflessioni decennali con una forma espositiva, un’organizzazione tematica e un’impostazione interna degli argomenti che a loro volta si presentano come assai originali.

Metà manuale ad uso didattico, metà saggio filosofico sui grandi temi politici al centro della discussione odierna, questo volume ha molti meriti. Innanzitutto, guarda al mondo e alle sue dinamiche storico-politiche (cercando di interpretarle dopo averle descritte) anche attraverso il contributo di tradizioni di pensiero diverse, in alcuni casi alternative, a quelle euro-occidentali. La parte del libro sul pensiero politico cinese, indiano ed arabo-islamico apre in effetti orizzonti critici e di riflessione nuovi. Non è solo curiosità intellettuale. E’ un esempio, piuttosto raro nel panorama scientifico italiano, di analisi teorica comparativa, nel tentativo di capire quanto i concetti e le parole chiave che sono tipici della filosofia politica occidentale – giustizia, eguaglianza, libertà, ecc. – trovino una corrispondenza o una declinazione in altri contesti culturali.

Il globalismo preso sul serio è anche questo: non la mescolanza o l’ibridazione delle culture, ma il loro confronto critico tenuto conto che non tutte ambiscono a una proiezione universalistica e che non tutte mettono al centro, come siamo abituati a pensare, la difesa dei diritti individuali. Il che fa nascere il problema – oggi assai vivo – di come conciliare questi ultimi con la dimensione collettivo-comunitaria e con le tradizioni storiche locali. L’esplosione di populismo di cui tanto si parla ha qui la sua genesi: nel contrasto tra universalismo etico-politico e particolarismo storico-culturale, nella difficoltà che hanno il liberalismo e le democrazie a tenere insieme il soggettivo e il collettivo, il globale e il locale, l’etica sostenuta dalla ragione e i valori sostenuti dalla storia.

Un altro merito del volume è quello di rendere esplicita la prospettiva filosofica di tipo normativo – basata sull’argomentazione razionale – nella quale Maffettone si riconosce e che cerca di argomentare: una visione della politica, come scrive, “liberal e socialdemocratica basata sulla centralità della giustizia sociale in un’ottica pluralista”. Da questo punto di vista il cuore del libro è la parte introduttivo-metodologica, dove Maffettone – sulla scia di John Rawls, il pensatore che forse più lo ha influenzato e che ha contribuito a far conoscere in Italia attraverso traduzioni e commenti critici – presenta il suo modello teorico. Basato su un’idea cooperativa dell’agire politico, come tale finalizzato a garantire il massimo possibile di “giustizia distributiva”. E ispirato da quella che l’Autore definisce “integrazione pluralistica”: una formula che sta ad indicare quell’insieme di diritti, democrazia e rule of law che sono il fondamento di ogni democrazia liberale ma che per funzionare – scrive Maffettone – “non possono essere imposti dall’esterno ma (…) al contrario devono essere conquistati all’interno di ogni cultura”. Come si comprende, è una critica molto radicale alla dottrina dell’esportazione della democrazia cara ai neo-conservatori di scuola realista.

Ma piuttosto che continuare nella descrizione dell’opera – chi s’è incuriosito e abbia interessi politici reali se la compri senza fare troppe storie – conviene chiedersi quanto può servire un libro così impegnativo e dotto alla lotta politica ordinaria. Il suo interesse si esaurisce solo nell’ambito accademico, dunque a beneficio di pochi specialisti? In realtà, basta guardarsi intorno per capire come la politica, per non ridursi a un campo di rovine, ha un bisogno assoluto di idee innovative e analisi razionali, come quelle che si trovano nel lavoro di Maffettone. Ha soprattutto il bisogno di ridefinire, alla luce delle profonde trasformazioni che hanno investito il mondo, le sue priorità empiriche (cosa fare) e le sue finalità etiche (perché farlo). Chiariti questi due punti, la dimensione pragmatico-tecnica che oggi fintamente prevale nei discorsi dei politici (come fare) si chiarirà a sua volta. E forse la politica ritroverà la sua utilità e dignità, ad oggi completamente smarrite.

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