di Giuseppe Russo
 
Luciano Canfora, La democrazia dei signori, Laterza, Bari-Roma, 2022, pp. 74
Il catalogo dell’editore Laterza si arricchisce di un nuovo volume di Luciano Canfora, La democrazia dei signori, che, mutuando il titolo da una «felice formula di Domenico Losurdo» (p. 62), offre al pubblico dei lettori, in quattordici brevi ma densi capitoli, un pamphlet provocatoriamente corrosivo, destinato a scontentare molti, sia tra le fila della «ex sinistra» (p.
di Giuseppe Russo

 

Luciano Canfora, La democrazia dei signori, Laterza, Bari-Roma, 2022, pp. 74

Il catalogo dell’editore Laterza si arricchisce di un nuovo volume di Luciano Canfora, La democrazia dei signori, che, mutuando il titolo da una «felice formula di Domenico Losurdo» (p. 62), offre al pubblico dei lettori, in quattordici brevi ma densi capitoli, un pamphlet provocatoriamente corrosivo, destinato a scontentare molti, sia tra le fila della «ex sinistra» (p. 60), dall’Autore criticata per la sua colpevole vocazione suicidaria, sia tra i gauchisti nostalgici delle «passate certezze, sempre più scollegate dalla realtà effettuale» (p. 61), sia, soprattutto, tra la troppo conformistica stampa italiana, di cui sono ricordati, con allarmata insistenza, i «lati deboli» (p. 15) e l’«antica tabe» (p. 6).

La curiosa titolatura, vero e proprio ossimoro, si spiega, quindi, secondo Canfora, alla luce della progressiva «autoesclusione dallo spazio politico dei gruppi […] socialmente deboli» (pp. 65-66), a tutto vantaggio dei cittadini più abbienti, unici attori nell’inferma vita democratica del Paese. Una tendenza, questa, confermata, peraltro, dalle recenti elezioni amministrative del 3 e del 4 ottobre 2021, che avrebbero sanzionato, a giudizio dell’Autore, il ritorno di fatto all’«orizzonte ideologico […] del liberalismo nel secolo XIX» (p. 66), sebbene lievemente ammodernato: il suffragio ristretto, imposto, stavolta, da una «selezione ‘naturale’» (ibid.) irresistibile.

La causa principale dell’insofferenza  e del conseguente ritiro dall’agone politico della maggioranza dell’elettorato attivo italiano riposerebbe, allora, nella grottesca «gara tra ex sinistra e destra a chi è più ‘liberista’» (ibid.), ossia nell’indistinguibilità dei loro programmi, che implicano la ferma adesione alle «fedi» (p. 71) atlantista ed europeista, non essendo davvero qualificanti le «bandierine» (p. 66) dei diritti civili, sventolate differentemente dagli schieramenti in lizza, per ostentare un’alterità di comodo. Non è dunque trascurabile, nel ragionamento di Canfora, il ruolo svolto dal «fattore UE» (p. 3), che avrebbe accelerato la degenerazione del quadro istituzionale italiano, divenuto il terreno di «una partita di rilevanza internazionale» (p. 69), da cui parrebbero dipendere, tramontata la leadership di Angela Merkel, gli stessi equilibri geopolitici scaturiti dalla vittoria degli Alleati nel Secondo conflitto mondiale.

La pluriennale «anomalia italiana» (p. 5), aggravatasi nel decennio 2011-2021, sarebbe perciò eterodiretta, non potendo subire l’Italia, quale Paese fondatore dell’ormai superata Comunità Economica Europea (1957), il trattamento riservato, nel 2015, alla Grecia. Simili ingerenze, tuttavia, esigevano la disponibilità – ecco la grave tesi dell’Autore – delle più alte cariche dello Stato, e del Presidente della Repubblica in specie, a forzare le regole costituzionali, incaricando «governi ‘consentanei’» (p. 4), così come avvenuto coi ministeri guidati da Mario Monti (2011-2012) e Mario Draghi.

E all’operato del gabinetto Draghi – «tornante nella storia politica italiana» (p. 9) – Canfora dedica particolare attenzione, esaminandone minuziosamente il discorso d’insediamento, letto alle Camere il 17 febbraio 2021, di cui si evidenziano «alcune sviste» (p. 12) e delle incongruenze, indizi del «disagio di dire la verità intorno al commissariamento dei partiti imbarcati nel governo» (p. 11). Non sfuggono, tra l’altro, all’Autore gli importanti passaggi in materia di politica economica europea, avendo Draghi ipotizzato, nell’ottica di una futuribile perequazione tra gli Stati membri, l’approdo a un bilancio pubblico comune, a patto – sottinteso – di conservare in Italia «un esecutivo […] considerato ‘sicuro’ dalle cerchie decisive della UE» (p. 14).

L’avvilimento della funzione sociale dei partiti, ridotti a comparse inerti ma necessarie, evocherebbe quindi le vicende italiane dell’ottobre 1922, nonostante Canfora sappia essere «raro che la storia si ripet[e] tal quale» (p. 24): oggi come allora, una classe dirigente in seria difficoltà decide di affidarsi a una figura salvifica, creduta capace di sistemare le cose, e la sceglie al di fuori del circuito parlamentare, calandola irritualmente dall’alto, «caso-limite privo di possibili richiami ad un ‘precedente’» (p. 6), se si prescinde dalle esperienze di governo di Carlo Azeglio Ciampi (1993-1994) e di Lamberto Dini (1995-1996).

La politica della solidarietà nazionale favorirebbe, stante l’inevitabile unanimismo, la dissoluzione dei partiti, che «deperiscono quando vengono stipati dentro una union sacrée» (p. 27), dall’Autore chiamata «partito unico, internamente articolato (PUA) ed esternamente suddiviso in singole formazioni» (p. 23). Senonché, avverte in seguito Canfora (nella foto, in basso), quello del partito unico, in Italia, non è fatto inconsueto, avendone già scritto, in momenti diversi, sia Benedetto Croce, in una lettera a Gaetano Salvemini del gennaio 1912, sia Antonio Gramsci, nei Quaderni dal carcere.

Accadimento ricorrente, l’unanimismo graverebbe soprattutto sulla sinistra, logorandola. Così, priva ormai del suo «‘genetico’ ancoraggio sociale» (p. 60), la cosiddetta sinistra di governo, assunta come cifra identitaria l’impolitico «concetto geografico» (ibid.) di europeismo, rischia di rappresentare solo gli scranni da essa fisicamente occupati tra i banchi dell’esecutivo, non avendo compreso per tempo che la scomparsa delle tradizionali classi di riferimento non implicava l’estinzione contestuale del popolo. Tale inintelligenza ripeterebbe, dunque, errori commessi in passato, sicché la ex sinistra, qualora volesse evitare l’immedesimazione di «chi sta “in basso” […] con le pulsioni malsane e seduttrici della “destra popolare”» (p. 62), dovrebbe apprendere di nuovo a solidarizzare con gli ultimi, riconoscendo altresì la propria quota di responsabilità nell’emergenza del «fenomeno snobisticamente definito ‘populista’» (p. X).

La crisi di consenso dei partiti, rileva ancora l’Autore, sarebbe stata preceduta, sul piano culturale, dall’ininterrotta svalutazione della Carta del 1948, stimata un’inutile anticaglia, donde «lo stillicidio di conati di riforme più o meno stravolgenti» (p. 29), sintomo dell’estraneità delle «forze che contano» (p. 30) allo spirito animatore dell’Assemblea Costituente. Il definitivo sovvertimento della Costituzione sarebbe allora certificato, a parere di Canfora, dall’aver il governo sottratto il potere legislativo alle Camere, autorizzando un domani le destre parafasciste, per paradossale che suoni l’ipotesi, a difendere le prerogative arbitrariamente violate della «ex democrazia parlamentare italiana» (p. 25).

Giuseppe Russo, Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne, Università degli Studi di Messina

 

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