di Giuseppe De Lorenzo

DSC00267Volenti o nolenti, della Lega bisognerà tener conto. Più di quanto non sia stato fatto con quella guidata da Bossi, che pure era una novità ed aveva caratteristiche che la distinguevano da ogni altro partito sulla scena. Sulla nuova Lega si è scritto molto. Si è giustamente detto che ormai è un movimento nazionale e non più rinchiuso nell’enclave padana. Che ha modificato i temi e le battaglie, tanto quanto la classe dirigente. Che ormai ha una visione europea (giusta o sbagliata che sia) non più dettata da Alberto da Giussano, ma dal disegno politico messo a punto da Salvini. Legato a doppio filo con quello di Marine Le Pen.

L’ex consigliere comunale di Milano ha dimostrato di avere una marcia in più rispetto ai diretti concorrenti del centrodestra e di molti avversari del centrosinistra. Perché ha compreso una legge fondamentale della politica, enunciata tra gli altri da Helmut Kohl: il politico non è un tuttologo, ma qualcuno in grado di pescare e tradurre in pratica le idee di specialisti. Non sappiamo se Salvini abbia mai letto o meno le parole del Cancelliere tedesco. Fatto sta che non solo le ha ripetute nel convegno in cui ha presentato il nuovo cavallo di battaglia della Flat Tax, ma le ha fatte proprie in più di un’occasione. Rispolverando l’intelligente intuizione che, per sostenere politiche così radicali, sia necessario trovare una voce credibile che le sostenga. E così ha fatto.

Andiamo con ordine. Durante la preparazione delle elezioni europee Salvini chiamò un economista dell’Università Cattolica che da qualche tempo predicava la necessità di abbandonare la moneta unica. Salvini, ovviamente, non ne sapeva nulla. Così decise di farsi spiegare la questione per poi adottarla come slogan centrale della sua battaglia politica. Quel professore, Claudio Borghi Aquilini, è oggi il responsabile economico della Lega. Salvini, insomma, ha colto la palla al balzo e il risultato delle elezioni lo ha premiato. Il leader leghista è stato capace di leggere una situazione dell’opinione pubblica, tradurla in programma politico sostenuto da un esperto e vincere grazie ad esso il turno elettorale.

Non era scontato. Per fare un esempio, nello stesso periodo la medesima offerta venne fatta a Giorgia Meloni, anche lei possibile oppositrice dell’Euro. Ad avanzare la propria candidatura come consulente fu un altro economista no-euro, Antonio Maria Rinaldi, al quale però – per via di problemi inerenti la composizione delle liste – venne negata la candidatura, perdendone di conseguenza il sostegno accademico. Mentre Salvini chiedeva l’uscita radicale dall’unione monetaria, la Meloni traballava sull’instabile proposta della modifica dei trattati con il mantenimento di un euro rinnovato. Le urne, anche qui, hanno dimostrato chi dei due ha fatto la scelta giusta.

Conclusosi il tormentone monetario, almeno elettoralmente, era necessario per Salvini inventarsi dell’altro. È sempre l’economista Borghi a dettare la linea, lui che sin dal 2006 scriveva invano della necessità di pensare all’adozione di una Flat Tax: nasce così il nuovo toro da cavalcare, lasciando il cerino in mano a molte forze politiche. Tra cui Forza Italia.

Uno degli effetti del nuovo corso leghista è stato il sorpasso a Berlusconi. Non tanto nei sondaggi, che rimangono al momento abbastanza aleatori, ma nel primato dei messaggi e delle scelte politiche. Fino a poco tempo fa, a dettare il ritmo era il Cavaliere, il quale all’avvicinarsi delle urne sapeva tirar fuori dal cilindro il coniglio di turno. Miracolo economico, abolizione dell’Ici, cancellazione dell’Imu: tutte le campagne elettorali berlusconiane hanno avuto un tema centrale, supportato – più o meno – dalla fattibilità politica e pratica, mentre il resto dei partiti era costretto a rincorrere. Oggi invece i ruoli si sono invertiti. Salvini brandisce al momento giusto la spada della Flat Tax e Berlusconi si accoda di conseguenza. Con il risultato che la proposta leghista è quantomeno studiata, mentre da parte forzista appare solo abbozzata. Salvini sa che per tenere caldo l’elettorato almeno fino a primavera (quando – a sua detta e di molti – si tornerà alle urne) dev’essere in grado di dargli in pasto ogni volta qualcosa di nuovo. Per questo ha dichiarato che «il programma economico ve lo stiamo dando a poco a poco». In questi giorni la prima pillola. L’aliquota unica al 15% è stata ideata anni fa da un economista americano, Alvin Rabushka, professore di Economia presso la californiana Stanford University ed ex consulente di Ronald Reagan. Il padre della Flat Tax era presente Sabato al Centro Congressi di Milano dov’è stato presentato il progetto. La lega di Salvini ha studiato i numeri dell’aliquota fissa ed ha adottato le misure necessarie per rendere la proposta costituzionalmente valida. «Non urliamo slogan come Grillo, noi le cose le facciamo per bene», ha rivendicato Borghi presentando i numeri della riforma. In due parole, ogni cittadino pagherà una tassa fissa al 15% ed avrà diritto ad una deduzione di 3000 euro per sé e per ogni familiare a carico. In questo modo sarà garantita la progressività della tassazione richiesta dalla Costituzione. Le conseguenze di una tale rivoluzione fiscale sarebbero, oltre alla netta riduzione del peso fiscale, anche l’aumento della produttività e dei consumi, la semplificazione amministrativa, la scomparsa del fenomeno delle delocalizzazioni, l’abbattimento dei costi per la dichiarazione fiscale e per l’amministrazione e, non per ultimo, il rientro dei capitali evasi.

La “Lega Italiana”, non più ancorata al Nord, è diversa da quella di Bossi ed anche di Maroni. Da “Roma ladrona” si è passati alla sfida a Renzi e alla speranza di «andare al Governo» con un ruolo da protagonisti. Di certo, non potrà farlo da solo. Salvini ha bisogno del centrodestra e, suo malgrado, anche di Berlusconi. Col quale non ha un cattivo rapporto, ma di cui fa fatica a fidarsi. Conosce il Cavaliere e la sua capacità, ultimamente accresciuta, di mutare rapidamente idea e di appropriarsi delle battaglie altrui. Non è poca, infatti, la riservatezza con cui vengono tenuti segretati i numeri delle proposte economiche negli ambienti dirigenziali leghisti per evitare di farsi scavalcare dal furbo uomo di Arcore. Dall’altro lato, invece, Salvini è ben visto dal Cav: è giovane, chiaro e capace di tirar dritto. Forse è più rozzo di Renzi, ma nemmeno il Matteo leghista sfigura in televisione. Tuttavia a Salvini non interessano le riedizioni del passato e farebbe volentieri e meno di Alfano, nonostante non possa rinunciarvi se punta davvero a vincere. Per il momento si gode la leadership effettiva nel centrodestra e minaccia i possibili alleati con le primarie di coalizione: se si facessero, probabilmente anche Berlusconi dovrebbe guardarsi le spalle.

Salvini è infatti l’unico leader in crescita di consenso. Non parla solo di immigrati e rom, indipendenza e federalismo. In Europa ha scelto da che parte stare in maniera netta, giusta o sbagliata che sia, e questo gli ha dato slancio. In ambito internazionale si è schierato al fianco di Putin, ben visto all’elettorato di centrodestra dai tempi delle relazioni strette con Berlusconi. In politica economica, oltre il già citato “no-Euro”, ha scelto la strada dell’abbassamento delle tasse ed ha presentato – come visto – una proposta in materia cui altri si sono accodati. I suoi messaggi sono semplici, ma studiati: Salvini parla alla pancia dell’elettorato, stimolandone però anche il cervello con l’aiuto di Borghi e Alvin Rabushka. Immagina un Paese con tasse più basse per tutti e ricorda alla gente che «il ricco bisogna difenderlo perché è bravo», idee che suonano bene alle orecchie dell’elettore berlusconiano. Intanto propone anche l’abolizione delle legge Fornero, che ha creato gli “esodati” e limitato (prima del Jobs Act) l’applicazione del tanto vituperato articolo 18. Raccogliendo così il consenso della componente operaia e pensionata che al Nord per anni aveva votato Lega e che con gli ultimi scandali di partito si era allontanata. Per non snaturarsi troppo, non dimentica le politiche per la “Padania”: Borghi ha più volte sostenuto che la lotta all’eccesiva tassazione va a vantaggio di chi vive sopra il Po, dove si pagano più tasse. Per questo «la Flat Tax è una proposta che favorisce il Nord». Infine, la lotta all’immigrazione clandestina (piuttosto popolare negli ultimi anni), la proposta per un lavoro dal volto umano senza turno domenicale obbligatorio (considerato «una forma di schiavismo») e tutte quelle novità del programma economico ancora tenute nel cassetto. Aspettando di tirarle fuori al momento giusto. Magari per le elezioni in primavera.

 

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