di Fabio Massimo Nicosia

Negli ultimi tempi, nella pubblicistica anarchica si è (ri)aperto un dibattito sulla configurabilità e l’opportunità di lavorare attorno all’ipotesi teorica di un governo libertario. Come è noto, gli anarchici classici non solo rifiutano tale ipotesi, ma predicano l’astensionismo e la lontananza dalla politica istituzionale.

Non può dirsi che questo “non sporcarsi le mani” abbia dato grandi frutti negli ultimi decenni, dato che l’anarchismo, che pure vanta un ricco dibattito teorico, è praticamente ininfluente sulle decisioni politiche. In genere, alla proposta di governo libertario viene opposto che, secondo l’ABC dell’anarchismo classico, i mezzi prefigurano i fini, e quindi non è nemmeno configurabile che un governo, autoritario per definizione, possa condurre a esiti libertari, data la non coerenza tra mezzi e fini.

Questo punto merita di essere verificato con particolare attenzione. Poniamo il caso che un soggetto X voglia porre in essere una condotta X1, non lesiva per i terzi (ad esempio fumare cannabis), e che un soggetto Y cerchi di impedire il verificarsi di questa condotta. Immaginiamo però che un soggetto Z si interponga tra i due, e cerchi di impedire a Y di portare a termine il proprio proposito impeditivo.

Secondo gli anarchici classici non vi sarebbe distinzione apprezzabile tra le condotte di Y e Z, in quanto entrambe “autoritarie”. Il misconoscimento è però evidente. Invero, mentre la condotta di Y costituisce un mero “impedimento” all’azione di X, la condotta di Z rappresenta qualcosa di analiticamente diverso, ossia un “impedimento di impedimento”. Sicché mentre Y è un autoritario, Z è un libertario, dato che vuole impedire non già una condotta purchessia, ma una condotta specificamente “impediente”.

Se si comprende questo passaggio, si è allora in grado di meglio apprezzare la nostra proposta di governo libertario. Non si tratterebbe cioè di un governo autoritario, ma di un governo programmaticamente volto ad ampliare le libertà piuttosto che a restringerle. E’ nostra opinione, infatti, che gli uomini, tra le altre cose, si distinguono in due categorie, quelli dotati di inclinazione libertaria e quelli caratterizzati da un’inclinazione autoritaria.

Mettersi a parte dalla politica, come fanno gli anarchici classici, non fa altro che consegnare in toto la gestione del governo e dello Stato ai soggetti dotati di inclinazione autoritaria, con ciò realizzando il più clamoroso degli autogoal.

Il governo libertario, al contrario, il quale solo a uno sguardo superficiale farebbe uso di mezzi autoritari, dato che la sua coercizione sarebbe volta solo a impedire gli impedimenti, rappresenta un atto di legittima difesa nei confronti degli autoritari. Il fatto è che gli anarchici classici sono ancora prigionieri di quel romanticismo ottocentesco, che faceva e fa dir loro che solo persuadendo gli autoritari si rendeva e si rende possibile un percorso lineare verso l’utopia della società anarchica. Da qui il filone di studi sulla pedagogia libertaria.

A noi pare invece che lo sforzo di volgere un autoritario in libertario sia una fatica di Sisifo (di solito l’autoritario è tetragono alle argomentazioni libertarie), e che il libertario abbia tutto il diritto di imporsi con qualsiasi mezzo all’autoritario che si faccia attivamente impediente di condotte libere e non lesive.

Gli anarchici classici commettono lo stesso errore di Amartya Sen in ordine alla configurabilità del liberale paretiano, dato che gli uni e gli altri pongono sullo stesso piano chi esercita una condotta non lesiva dei diritti altrui e chi invece lede direttamente quei diritti, in un contesto di condotte non co-possibili (nell’esempio di Sen si trattava della lettura di un libro non gradito dall’impediente, in quanto non conforme ai suoi principi morali, sicché il premio Nobel pone sullo stesso piano chi vuole leggersi un libro in pace e chi vuole impedirglielo, non distinguendo la tipologia delle due preferenze, che è viceversa opposta). Al che si può rispondere, con Harsanji, che le preferenze esterne non entrano nel calcolo di utilità. Il che può essere reso, rozzamente, dicendo che non è un diritto farsi i cavoli degli altri.

Solo se gli anarchici classici riusciranno a far proprio questo concetto l’ipotesi di governo libertario potrà decollare, diversamente s’imporrebbe di cercare altri compagni di strada.