di Luca Marfé

NEW YORK – Economia o muro col Messico: dopo 26 giorni di paralisi amministrativa, Donald Trump è a un passo dal bivio shutdown.
Centinaia di migliaia di funzionari e di ufficiali governativi senza paga da oramai quattro settimane e uno scenario politico a metà tra il braccio di ferro e lo stallo.
E, per quanto il tycoon prometta con toni minacciosi di non avere alcuna intenzione di mollare, l’unica cosa certa appare proprio il contrario: la situazione,
di Luca Marfé

NEW YORK – Economia o muro col Messico: dopo 26 giorni di paralisi amministrativa, Donald Trump è a un passo dal bivio shutdown.

Centinaia di migliaia di funzionari e di ufficiali governativi senza paga da oramai quattro settimane e uno scenario politico a metà tra il braccio di ferro e lo stallo.

E, per quanto il tycoon prometta con toni minacciosi di non avere alcuna intenzione di mollare, l’unica cosa certa appare proprio il contrario: la situazione, così com’è, non può durare a lungo.

I motivi sono diversi, tutti molto semplici.

In primis, il malcontento che cresce tra le fila degli impiegati pubblici. In qualche modo abituati a frenate del genere, specie quando presidente e Congresso fanno capo a partiti diversi, ma non per questo disposti a tollerare incertezza e secche all’infinito. Tra loro, in particolare, tanti supporter di The Donald che cominciano a storcere il naso.

In secondo luogo, i riflessi potenzialmente drammatici sull’economia. Che, al trascorrere di ciascun giorno, rischia di rallentare.

Ecco dunque il bivio, il dilemma tra due cavalli di battaglia, entrambi cruciali.

Lavoro, e più in generale benessere dei cittadini, o Muro col Messico?

Proprio quest’ultimo, infatti, è il pomo della discordia con il fronte democratico, capitanato dalla grinta della speaker della Camera, Nancy Pelosi.

Trump lo vuole a tutti i costi (costi che si aggirano al di sotto della soglia dei 6 milioni di dollari). I dem, dal canto loro, non vogliono neanche sentirne parlare, non fosse altro che per ragioni squisitamente ideologiche.

Per concludere: o il presidente lascia andare la presa sul sogno di rinfoltire un muro che di fatto c’è già (leggere alla voce Bill Clinton) o si ostina sul mettere a repentaglio i numeri di occupazione e prodotto interno lordo.

In ogni caso, una sorta di vicolo cieco in cui si è infilato e in cui a rimetterci è lui. Con gli avversari che, forti del ruolo di “semplici” oppositori, hanno gioco facile a scaricare colpe e responsabilità sul nemico giurato di una Casa Bianca che non vedono l’ora di riprendersi.

Attenzione, però: Trump è un carnivoro della politica e potrebbe a sua volta intestardirsi. Esasperare davvero questa lotta per settimane, addirittura mesi. Giocare allo stesso gioco, puntare il dito contro i suoi rivali, accusarli di antipatriottismo. Mentre torna a vestirsi di stelle e di strisce, da leader di quell’America che aveva promesso di rendere “di nuovo grande”.

Con la testa non tanto allo sblocco dello shutdown, quanto piuttosto già alle presidenziali del 2020.

Maestro di narrativa e di strilli, in un tempo in cui narrativa e strilli sono di gran lunga più importanti di qualsiasi sostanza.

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