di Chiara Moroni*

La situazione politica italiana – frammentata, autoreferenziale e dai contorni di non facile definizione – spinge a rivalutare anche le necessità comunicative proprie sia del sistema stesso, sia della società civile a cui quella comunicazione è indirizzata.

Se fino a qualche anno fa, per la politica era sufficiente individuare canali comunicativi efficaci, elaborare messaggi semplificati e accessibili per poter costruire una campagna comunicativa di una qualche efficacia, oggi le trasformazioni sociali generali, e quelle dei media e della loro fruizione in particolare, rendono queste strategie comunicative obsolete e spesso insufficienti a soddisfare le sempre più elaborate e articolate esigenze comunicative degli individui.

L’ambiente comunicativo e informativo nel quale la politica è oggi costretta a muoversi è caratterizzato da complessità e indefinitezza dei contesti e dei linguaggi, in esso si sovrappongono e interagiscono diversi piani, simbolici, concreti, razionali ed emozionali. Accanto all’efficacia di alcune forme comunicative tradizionali come il comizio, la stampa di partito, il contatto porta-a-porta e i mass media, esiste oggi un insieme di nuovi media che non costituiscono solo nuovi strumenti, ma implicano l’applicazione di nuovi linguaggi e nuove logiche. Nell’ultimo decennio hanno subìto cambiamenti anche radicali – e siamo solo all’inizio di questa trasformazione che è al contempo comunicativa e relazionale – sia la modalità di fruizione da parte dei cittadini delle fonti informative e dei messaggi che da queste ultime ricevono, sia il mix delle varie forme comunicative alle quali sono in grado di (e disposti a) accedere.

In questa fase di cambiamento epocale, la politica italiana resta legata a sistemi e strategie comunicative non più capaci di instaurare e mantenere una relazione con i cittadini, tanto che la politica è sempre più percepita come autoreferenziale e chiusa anche a causa dei linguaggi e delle pratiche comunicative messe in atto. Nell’epoca dell’infotainment e della spettacolarizzazione, i politici italiani si sono fatti imprigionare dalle logiche semplicistiche dell’apparizione in televisione e della commistione di generi, perdendo di vista la quasi banale verità che una presenza quantitativamente cospicua non garantisce una qualità comunicativa adeguata e l’effettivo raggiungimento emotivo-razionale dell’elettorato.

L’esigenza di sviluppare il discorso politico su più piani contemporaneamente e il dover innescare il giusto equilibrio tra valutazione razionale e scelta emotiva, trova uno strumento eccellente nella narrative. Il racconto è parte integrante dell’esistenza perché è attraverso la narrazione che si organizza il proprio vissuto e ci si mette in relazione con la società e con il vissuto degli altri. Questa necessità universale di disporre di storie entro le quali immettere la realtà e gli accadimenti quotidiani di quella realtà, che siano individuali o collettivi, ha una funzione di mediazione e di interpretazione del mondo, alla quale la politica non può sottrarsi.

La narrazione consente al contempo di ricevere informazioni, di renderle intellegibili rispetto ad un proprio sistema di senso e di partecipare a questa costruzione in prima persona. Essa è quindi una forma di comunicazione e al tempo stesso di partecipazione attiva a quella comunicazione.

Questo concetto relazionale insito nella narrativa è qualcosa di più complesso di quanto le varie teorie comunicative hanno definito come comunicazione bidirezionale o feedback e sui quali la politica stessa ha fin qui concentrato le sue strategie. Prevedere la possibilità di una risposta a un proprio atto comunicativo significa in sostanza prevedere l’accettazione o il rifiuto, in un certo senso passivi, di un messaggio elaborato e finito. In questo senso la politica predispone un messaggio, che sia un’ideale, un progetto o un programma di governo, e una volta “comunicato” ai cittadini, chiede che esso venga accettato e supportato.

Al contrario, proporre una narrazione politica significa implicare la proposta di una relazione attiva e partecipata che si avvia a partire dalla condivisione della “scrittura” stessa del racconto, mettendo in campo un “noi”, che non è riferito al noi sistema politico, ma al noi collettivo proprio di una comunità che nella narrative si riconosce ed è disposta a contribuire alla sua elaborazione.

A fronte della proposta di un credo politico da accettare, la narrative chiede agli interlocutori di partecipare, di relazionarsi e di interpretare la prospettiva politica messa in campo.

Accanto alla diffusa incapacità nel comprendere le dinamiche legate alle nuove esigenze sociali di comunicazione, informazione e relazione, la politica italiana ha lasciato che il processo di leaderizzazione tendesse ad assorbire ed esaurire il messaggio stesso della politica, identificando in modo quasi totalizzante la figura del leader con il progetto e la proposta politica stessa. La biografia dei leader, utilizzata come manifesto della propria azione politica, è di per sé un elemento centrale delle nuove strategie politiche, ma anche in questo caso è necessario individuare alcuni limiti di un uso semplicistico e autoreferenziale della storia di cui il politico è personalmente protagonista.

Oggi un buon leader politico deve sì essere protagonista di una narrazione, ma tale narrazione deve sapersi efficacemente innescare nelle narrazioni dei singoli e non essere una mera “fiction” che costruisce una realtà fittizia. Essa deve saper connettere gli eventi reali tra loro secondo un quadro semantico comprensibile e condivisibile da quel noi che è innanzitutto comunità partecipante e non spettatore passivo.

Attraverso la proposta di una narrazione, anche incentrata simbolicamente sulla biografia vera e non immaginaria del leader politico che la propone, la politica deve saper offrire alla comunità una cornice entro la quale essa possa innescare efficacemente la propria identità: la risorsa più importante che ha oggi a disposizione un politico è data dai modi in cui le persone comprendono il mondo, i valori e i contesti attraverso i quali organizzano la realtà. Riuscire a penetrare questi valori, a dare una forma compiuta e universale a questi contesti per poi riproporli all’elettorato chiedendogli di parteciparvi, significa innanzitutto aver compreso la complessità comunicativa e relazione che segna i nostri tempi.

L’utilizzo “sociale” e “comunitario” che gli individui praticano dei nuovi media ne fanno uno strumento incredibilmente efficace per costruire una comunità civile e politica alla quale le forze politiche e i leader possano chiedere di contribuire alla costruzione di una narrazione capace di interpretare le esigenze complesse, e non di rado contrastanti, della realtà contemporanea.

La politica non può più semplicemente comunicare – ciò che solo poco più di un decennio fa rappresentava la strategia d’avanguardia di una politica di successo – ma deve saper interpretare la società alla quale si rivolge, la sua complessa identità e le sue difficili prospettive e su questa interpretazione costruire una comunità narrativa attraverso la quale scrivere e realizzare un concreto e realistico progetto politico, innescando un equilibro proficuo tra razionalità ed emotività.

Quale politico o leader saprà accettare, da qui all’immediato futuro, una tale sfida?

* Docente di Comunicazione politica nell’Università della Tuscia di Viterbo