di Alessandro Campi
Dopo la scomparsa del suo fondatore e padre-padrone Forza Italia sembra avere dinnanzi a sé quattro strade.
La prima è la fuga in massa del suo gruppo dirigente in cerca di nuovi approdi e di una salvezza politica soltanto personale. È un rischio reale ed è quello che molti pronosticano in queste ore, immaginando che il berlusconismo per definizione non possa sopravvivere a Berlusconi.
Scomparso lui, liberi tutti. Ma sarebbe, a conti fatti,
di Alessandro Campi

Dopo la scomparsa del suo fondatore e padre-padrone Forza Italia sembra avere dinnanzi a sé quattro strade.

La prima è la fuga in massa del suo gruppo dirigente in cerca di nuovi approdi e di una salvezza politica soltanto personale. È un rischio reale ed è quello che molti pronosticano in queste ore, immaginando che il berlusconismo per definizione non possa sopravvivere a Berlusconi.

Scomparso lui, liberi tutti. Ma sarebbe, a conti fatti, una corsa disordinata verso il precipizio. Senza contare che quelli che nel partito hanno ragionato in questi termini, pensando solo al loro futuro, già da un pezzo si sono accasati altrove.

La seconda è il ricompattamento del partito, mettendo in conto le inevitabili lotte politiche interne connesse ad ogni successione traumatica, intorno al nucleo ideologico forte del berlusconismo: liberalismo popolare ed euro-atlantismo. In questa prospettiva Forza Italia, provando a diventare un partito per così dire normale, resterebbe la gamba centrista del centrodestra. Una forza piccola ma in questo momento irrinunciabile soprattutto per Giorgia Meloni nella prospettiva di una crescente collaborazione in Europa tra i conservatori da lei presieduti e la famiglia cristiano-popolare.

Intorno a questa opzione, che è quella dell’istituzionalizzazione del berlusconismo, si valuteranno due cose se dovesse realizzarsi. Da un lato, le capacità politiche reali del gruppo dirigente rimasto con Berlusconi in quest’ultima stagione: yes men senza personalità o figure compresse dall’Ego enorme del Cavaliere e finalmente libere di mettersi alla prova?  Dall’altro, il ruolo effettivo svolto dalla famiglia Berlusconi (o che quest’ultima intende svolgere) nella successione considerando che il marchio del partito è una proprietà privata e che i soldi per mandarlo avanti solo da lì possono venire (almeno nel breve periodo). Marina e gli antichi sodali del padre permetteranno che tutto vada in malora o si batteranno per stabilizzarne il lascito politico?

Una terza strada, una variante della seconda, potrebbe consistere nel tentativo di far nascere, a partire da Forza Italia, un soggetto centrista autonomo e svincolato da alleanze rigide. Fedele alla formula del centrodestra e alla democrazia dell’alternanza su base bipolare, le sue due invenzioni politiche più importanti, Berlusconi ha sembra osteggiato qualunque tentativo di creare un centro indipendente. Ora quest’ultimo potrebbe raggrumarsi mettendo insieme, idealmente nel nome del Cavaliere, in realtà tradendone la visione, i tanti spezzoni centristi che da anni vagano come anime perse nel deserto avanzante della politica italiana.

A questo scenario, come è noto, guardano i nostalgici che ancora esistono della Dc, i delusi di un Pd a trazione sempre più radical-movimentista, le truppe renziane, i battitori liberi alla Calenda, quelli che in Forza Italia non vogliono morire né salviniani né meloniani ecc. Ma i consensi elettorali di questo centro vagamente mitologico nato da assemblaggi meccanici e calcoli a tavolino si sono sempre rivelati inversamente proporzionali alle ambizioni dei capi che aspirano a guidarlo. Più sono scarsi i primi, più risultano alte le seconde.

Infine, la quarta strada. La potremmo definire un Popolo della Libertà al contrario e, soprattutto, meglio congegnato. Quello originale nacque nel 2009 con l’idea di assorbire la destra post-missina nel perimetro di un berlusconismo allora all’apogeo. Fu un atto di forza e prepotenza che finì malissimo. Oggi si potrebbe pensare a un’ipotesi più ragionata e razionale, tenuto conto soprattutto di come sta evolvendo il quadro europeo e della necessità in cui il centrodestra si trova di darsi una nuova fisionomia ora che non c’è più chi l’ha inventato e per decenni l’ha tenuto insieme: integrare centro berlusconiano e destra conservatrice in un contenitore liberal-nazionale la cui guida, in questa fase storica, non può che competere a Giorgia Meloni.

Per il mondo di Forza Italia è una possibilità di sopravvivenza, senza per questo risolversi in un’annessione. Per Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia un’opportunità di crescita e cambiamento. Nel solco del trasformismo italico sembrerebbe più facile e conveniente, per la destra oggi al potere, avviare una tradizionale campagna acquisiti promettendo candidature e poltrone agli orfani di Berlusconi. Ma sarebbe una scelta miope, visto che singolarmente i fuoriusciti di Forza Italia hanno sempre dimostrato di avere con sé pochi consensi. E perpetuerebbe un cattivo costume.

Diverso se si dovesse invece puntare alla nascita di un nuovo soggetto politico che prefiguri già in Italia quell’alleanza organica tra popolari e conservatori che anche in Europa potrebbe farsi nei prossimi mesi sempre più stretta. Ma quest’ultima soluzione dipende paradossalmente più dalle scelte che compirà Giorgia Meloni che dalle mosse dei vertici di Forza Italia.

Quattro possibili scenari, dunque. In ogni caso, la politica italiana – dopo e senza Berlusconi – è destinata a cambiare radicalmente. La Seconda Repubblica è finita, ammesso che sia mai cominciata.

 

Articolo pubblicato su “Il Messaggero” del 13 giugno 2023

 

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