di Alessandro Campi
Si fa buona filosofia – cioè si pensa cercando di andare alla radice dei problemi – solo a partire dalla realtà e dalle cose concrete. E dunque quale occasione migliore di questa pandemia (della quale beninteso avremmo fatto a meno volentieri) per provare a capire non solo perché siamo precipitati in questa distopia purtroppo verissima e concreta, tutt’altro che la trama d’un film di genere catastrofista, ma soprattutto cosa fare per uscirne.
di Alessandro Campi

Si fa buona filosofia – cioè si pensa cercando di andare alla radice dei problemi – solo a partire dalla realtà e dalle cose concrete. E dunque quale occasione migliore di questa pandemia (della quale beninteso avremmo fatto a meno volentieri) per provare a capire non solo perché siamo precipitati in questa distopia purtroppo verissima e concreta, tutt’altro che la trama d’un film di genere catastrofista, ma soprattutto cosa fare per uscirne. Comprendere come siamo messi (malino al momento) e ragionare su come dovremmo essere (per evitare che si ripeta).

Chi scrive è un politologo “descrittivo”, un realista di matrice vetero-europea. Sebastiano Maffettone – autore de Il quarto shock. Come un virus ha cambiato il mondo, appena pubblicato dalla Luiss University Press (pp. 152, Euro 12,50) – è un filosofo “normativo” di scuola anglosassone, versato sui temi dell’etica pubblica. Due punti di partenza scientifico-intellettuali – l’essere vs. il dover essere – che di solito rendono complicato il confronto. Ma visto che Maffettone propone questo suo lavoro alla stregua di una “utopia realistica” direi che intorno a questa formula si possa trovare un ragionevole compromesso. Cambiare il mondo entro i limiti che il mondo stesso ci impone è cosa diversa dal volerlo cambiare inseguendo le nostre fantasie e nostri desideri: un realista non teme gli utopisti, che ragionano sul futuro possibile, ma gli irrealisti, che costruiscono castelli in aria.

E che il mondo vada cambiato è indubbio. Questa pandemia, spiega bene Maffettone, non è stata solo uno sfortunato e casuale spillover di un agente patogeno dall’animale all’uomo. E’ stata la tragica conferma, considerata la circolarità che ormai esiste tra mondo naturale e mondo sociale, del fatto che l’uomo ha abusato dell’ambiente in cui vive, sino ad alterarne i complessi equilibri. Nella comparsa del virus, causata da quello che l’Autore definisce un vero e proprio “sfasamento temporale” causato dall’incapacità dell’uomo ad assorbire evolutivamente le innovazioni che egli stesso produce, si può dunque vedere “una sorta di ribellione della natura contro l’arroganza dell’essere umano e il maltrattamento cui è stata sottoposta”. Affrontare la questione ambientale significa imporsi dei limiti, porsi il problema della sostenibilità – sul lato pratico, ma anche come scelta etica.

Ma c’è da risolvere, non meno grave, anche la questione sociale. La pandemia ha infatti messo a nudo iniquità e diseguaglianze che vanno rimosse non immaginando una qualche fuoriuscita dal vigente sistema capitalista, ma una sua riforma interna. Un capitalismo, quello immaginato da Maffettone, che sia responsabile sul piano etico-politico, che non si limiti solo al profitto secondo logiche di mercato, ma capace anche di affrontare i nodi che riguardano “l’ecologia, i bisogni, la povertà, la democrazia e l’uso delle tecnologie”. Tutto ciò non rappresenta una deroga alla sua natura, per definizione acquisitiva ed infinitamente espansiva, ma la condizione della sua sopravvivenza futura. Un’altra (e magari più grave) pandemia rischierebbe infatti di piegare definitivamente il sistema economico globale, già messo pesantemente in crisi dall’emergenza che stiamo vivendo. Insomma, cambiare o perire.

Il che vale anche, oltre che per l’economia e la società, anche per gli individui, che dovranno imporsi comportamenti più equilibrati, valorizzare meglio la loro interiorità, preoccuparsi di non sacrificare la propria stabilità psicologica ai ritmi parossistici tipici di una modernità al tramonto. Un cambio di paradigma esistenziale che non può essere imposto dall’alto, per via autoritativa, ma deve nascere dalla nostra autoconsapevolezza. Dobbiamo regolarci da soli, scrive Maffettone. Dobbiamo ritrovare la nostra “unità organica”, premessa necessaria per superare la scissione che oggi esiste tra verità e soggetto, tra etica e conoscenza (a partire da quella scientifica), tra etica ed economia.

Vasto programma, filosoficamente parlando, ma considerato che la pandemia in corso non rappresenta solo un’emergenza clinico-sanitaria, ma un segnale d’allarme che investe il modo – evidentemente sbagliato e non più sostenibile – con cui abbiamo organizzato le nostre vite individuali e le nostre società, dobbiamo allora approfittarne per costruire, spiega Maffettone, una nuova etica pubblica e con essa una diversa idea dello sviluppo economico e dell’agire politico collettivo. L’ispirazione di questo ragionamento è classicamente illuministica: il miglioramento del mondo dipende dalla volontà degli uomini e dalla forza dei loro convincimenti. Il pessimista direbbe che anche il peggioramento del mondo dipende dagli stessi fattori. Ma il pessimista avrebbe scritto un altro libro, probabilmente più cupo e noioso di quello appena pubblicato da Maffettone: un laico-liberale che allo scettiscismo dei critici del progresso (di destra e di sinistra) preferisce la speranza basato sulla ragione. Magari ha ragione lui.

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