di Carlo Marsonet
 
Lorenzo Castellani, Sotto scacco, Liberilibri, Macerata, 2022, pp. 132
Nel suo ultimo volume, pubblicato postumo, Perché in Occidente c’è più libertà che in Oriente? (Rubbettino, 2020), Luciano Pellicani aveva portato a conclusione la ricerca condotta per tutta una vita, incentrata sul tema della società aperta e delle proprietà istituzionali che, alla radice, la caratterizzavano. Perché in Occidente, e solo lì, si era prodotta la civiltà più libera e prospera?
di Carlo Marsonet

 

Lorenzo Castellani, Sotto scacco, Liberilibri, Macerata, 2022, pp. 132

Nel suo ultimo volume, pubblicato postumo, Perché in Occidente c’è più libertà che in Oriente? (Rubbettino, 2020), Luciano Pellicani aveva portato a conclusione la ricerca condotta per tutta una vita, incentrata sul tema della società aperta e delle proprietà istituzionali che, alla radice, la caratterizzavano. Perché in Occidente, e solo lì, si era prodotta la civiltà più libera e prospera? In cosa esso si differenziava, in definitiva, dall’Oriente? Certamente, la prospettiva del compianto Pellicani risentiva di una certa visione illuministica francese, la quale, con tutta evidenza, fa propria una visione un po’ troppo ottimistica della ragione umana rispetto al parente scozzese. Nondimeno, egli non ha mai sottovalutato l’importanza del riconoscimento dell’ignoranza e della fallibilità umane: non a caso, si deve anche a lui la discussione in Italia, magari anche più che scettica talvolta, di grandi scuole di pensiero, come la scuola Austriaca, e autori come Mises, Hayek e Popper, ad esempio.

Da ciò deriva, tutto sommato, la concezione dell’uomo come un viaggio nell’insondabile e mai definitivamente e del tutto comprensibile oceano che è la vita. In tale percorso, allora, l’uomo si trova di fronte a differenti e molteplici ostacoli, per non dire veri e propri problemi: carestie, pestilenze, malattie. La vita, come diceva Popper, è un continuo e mai concluso percorso volto alla risoluzione di sempre nuovi ed emergenti problemi. Ma l’Occidente, con le sue istituzioni aperte, il suo individualismo, la sua libertà fragile, il suo concepire la società ad alta divisione del lavoro come un impasto di competizione e cooperazione tra differenti individui ha reso possibile un pluralismo (sociale, politico, economico) tale per cui si è creato benessere materiale, ricchezza intellettuale e sviluppo tecnologico. Ma che ne è di tutto questo, se vengono meno quelle proprietà istituzionali che hanno contraddistinto quel grande esperimento vitale che siamo soliti chiamare Occidente?

Tra un più o meno velato pessimismo e un ben percepibile realismo, Lorenzo Castellani (in basso, nella foto), studioso di storia delle istituzioni politiche presso la Luiss – Guido Carli e degno erede dell’ormai defunto Centro di Metodologia delle Scienze Sociali presso il medesimo Ateneo (eccellenza a cui grandi nomi come Dario Antiseri, Lorenzo Infantino e Pellicani medesimo contribuirono), continua questo percorso di ricerca chiedendosi se la pandemia, alla fine, non abbia posto «sotto scacco» l’Occidente. Il titolo del suo ultimo lavoro, per l’appunto Sotto scacco, appena uscito per la casa editrice maceratese Liberilibri, intende descrivere quanto ormai la crisi pandemica abbia fatto emergere tutta una serie di questioni critiche in seno alle società occidentali e quanto ormai esse si siano avvicinate all’Oriente. Studioso del potere e della democrazia rapportata alla tecnocrazia, ha precedentemente dedicato al tema una storia evocativa dello sviluppo di quest’ultima (L’ingranaggio del potere, Liberilibri, 2020). Sotto scacco può essere letto come l’approdo ultimo di questo sviluppo storico ulteriormente esacerbato dalla pandemia. Infatti, scrive Castellani, la pandemia ha solo reso più visibili ed estremizzato, dunque, tendenze che già da decenni si stavano manifestando.

L’erosione della politica rappresentativa a vantaggio di una forma politica che egli definisce tecno-democrazia, una democrazia sotto tutela, ovvero sotto la custodia dei tecnici, è ora una delle questioni più dirimenti del nostro tempo. Durante questi due anni, infatti, non solo è stato calpestato qualsiasi libertà o diritto rettamente inteso, magari in nome della sicurezza collettiva e comunque con il benestare dei giuristi e dei “custodi” dell’ordine liberaldemocratico (magari ex comunisti). Sotto questo aspetto, Castellani ha ragione da vendere nel citare Carl Schmitt il quale sosteneva che «Chi dice diritto vuole ingannare, chi dice potere vuole smascherare»: lo stato di diritto è una pia illusione. In nome dell’emergenza sono stati espansi a dismisura i poteri pubblici e, come ha posto in luce Robert Higgs nei suoi studi, ben difficilmente si tornerà al livello pre-crisi di una tale intromissione del potere pubblico nelle vite delle persone. Si è fatta inoltre passare l’idea che la scienza sia un qualche cosa di magico e risolutivo: un potere che può assicurare ordine e felicità una volta per tutte. Se, come ricorda Castellani, il filosofo della paura, Thomas Hobbes, è ancora uno dei pensatori più illuminanti, per l’analisi del dispositivo statale, è in modo particolare a Michael Oakeshott che bisogna rivolgere lo sguardo per l’analisi delle tendenze razionalistiche del nostro tempo. Sempre più timoroso e pavido, poiché ebbro di agi e comodità, il “signorino soddisfatto” moderno è in balia di se stesso e delle sue paure. Egli è incapace di concepirsi come un essere ignorante e fallibile. Da ciò, la conseguente stolidità di ricercare una sorta di vita perfetta che espunge fatica, problemi e il senso tragico della vita. La Scienza, dunque, consente all’uomo di coltivare quell’insipiente ottimismo nel potere sovrumano della Ragione, facendo dimenticare i limiti che dovrebbero, invece, accompagnare l’individuo a comprendere la sua umile e precaria posizione nel mondo.

Tralasciando la dimensione religiosa dell’esistenza umana – necessaria, per uno come Tocqueville, a limitare lo sviluppo del servilismo umano – giacché non tutti possono condividere la necessità della fede in qualcosa che va al di là di questo mondo umano, è chiaro come la consapevolezza dei limiti del pensiero e dell’azione umana sia il prerequisito per risollevarsi dopo due anni di crisi pandemica. L’uomo, scrisse Hayek, non è e non sarà mai padrone del proprio destino. Occorre rigettare quella «politica del libro», per dirla con Oakeshott, ovvero tentare di imbrigliare la possibilità di imprevisto e rischio insiti nella condizione umana. Una tale politica fideistica, quel potere «immenso e tutelare», per citare nuovamente forse il principale punto di riferimento di Castellani, Alexis de Tocqueville, che ridurrebbe la vita a calcolo onnicomprensivo è una prospettiva che un individuo libero e responsabile non può accettare: vivere significa convivere con la sua gracile e imprevedibile costituzione. La Cina è un po’ più vicina. A noi, tuttavia, rimangono da meditare le parole di Fëdor Dostoevskij, opportunamente citate dall’Autore: «Vedete: la ragione, signori, è una bella cosa, è indiscutibile, ma la ragione non è che la ragione e non soddisfa che la facoltà raziocinante dell’uomo, mentre il volere è una manifestazione di tutta la vita, cioè di tutta la vita umana, con la ragione e con tutti i capricci. E sebbene la nostra vita, in questa manifestazione, riesca sovente una porcheria, è comunque la vita, e non è soltanto un’estrazione di radice quadrata». Precaria libertà o presunta granitica sicurezza, accettazione dei limiti o ricerca della perfezione, razionalismo scettico come metodo o razionalismo dogmatico come scienza, pluralismo decentrato o dispotismo centralista: cosa sceglierà l’Occidente?

 

Dottorando Luiss – Guido Carli, Roma

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