di Alessandro Campi
Anthony James Gregor (a sinistra nella foto), storico e politologo, è scomparso il 30 agosto 2019 alla veneranda età di novant’anni, ma la notizia della sua morte è passata del tutto sotto silenzio in Italia. Un vero peccato, ma non una stranezza. Gregor, nato a New York nel 1929, era d’origine italiana (il suo vero nome era Anthony Gimigliano) ed aveva mantenuto un attaccamento straordinario per il Paese da dove era emigrati i suoi genitori (calabresi).
di Alessandro Campi

Anthony James Gregor (a sinistra nella foto), storico e politologo, è scomparso il 30 agosto 2019 alla veneranda età di novant’anni, ma la notizia della sua morte è passata del tutto sotto silenzio in Italia. Un vero peccato, ma non una stranezza. Gregor, nato a New York nel 1929, era d’origine italiana (il suo vero nome era Anthony Gimigliano) ed aveva mantenuto un attaccamento straordinario per il Paese da dove era emigrati i suoi genitori (calabresi). Ma soprattutto Gregor è stato uno dei massimi studiosi del fascismo, come tale riconosciuto a livello internazionale.

Per gran parte della sua vita accademica ha insegnato Scienza politica a Berkeley: un rude conservatore nell’ateneo liberal per eccellenza. La sua produzione scientifica, nel corso dei decenni, è stata a dir poco copiosa: dai primi lavori di sociologia e antropologia (fu giovanissimo collaboratore di Corrado Gini, il genio italiano della statistica) ai lavori di storia politica e delle idee, prima sul marxismo e sul radicalismo di sinistra, poi su Mussolini e il fascismo, per poi arrivare agli studi di politica internazionale: sulla geopolitica del Pacifico e in particolare sulla Cina nuova potenza globale.

L’originalità del suo approccio come storico del fascismo è stata duplice: sul piano metodologico e interpretativo. L’ha studiato in una chiave storico-comparativa cercando di enucleare quello che nel mondo anglosassone si chiama ‘generic fascism’: vale a dire una visione o teoria generale del fascismo capace di spiegarne la diffusione su scala europea e mondiale a partire dal prototipo mussoliniano. E l’ha interpretato come una “dittatura di sviluppo”, come una forma di autoritarismo politico finalizzata alla modernizzazione economica. Per lui erano fascismi ispirati al modello italiano anche l’Egitto di Sadat, il Pakistan di Ali Bhutto, la Libia di Gheddafi e la Cina nazionalista contemporanea.

All’accademia italiana Gregor non è mai piaciuto, a causa del suo eclettismo. Il risultato è che i suoi libri non hanno mai trovato un editore di rilievo disposto a diffonderli (e sì che sul fascismo s’è pubblicata paccottiglia d’ogni tipo). Il suo libro più importante del 1969, The ideology of Fascism, apparve su consiglio di Prezzolini per le Edizioni del Borghese: troppo a destra per non suscitare un cordone sanitario.

Resta il fatto che Gregor, con buona pace del provincialismo culturale italiano, ha appartenuto ad una sorta di ghota scientifico internazionale che ha profondamente innovato gli studi sul fascismo. Pochi nomi ma decisivi nel far avanzare la ricerca: George L. Mosse, Renzo De Felice, Zeev Sternhell, Stanley G. Payne, Emilio Gentile, Juan J. Linz, Pierre Milza, Roger Griffin. Giusto dunque ricordarlo, come hanno scelto di fare la Fondazione “Ugo Spirito e Renzo De Felice” e la rivista “Il Pensiero Storico”, che gli hanno dedicato per il 2 dicembre una giornata di studi ricca di interventi e testimonianze. Rigorosamente on line, come imposto dai tempi. Streaming, per chi è interessato, sulle pagine Facebook e YouTube della Fondazione.

 

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