di Andrea Beccaro
 
Stephen Biddle, Nonstate Warfare. The Military Methods of Guerrillas, Warlords, and Militias, Princeton University Press, Princeton, 2021.
Da alcuni mesi siamo entrati in una nuova era della politica internazionale dove la guerra è tornata, come ha sempre fatto nella storia, a giocare un ruolo preminente. Serve quindi cercare di capire meglio il fenomeno che, con i mutamenti politici, tecnologici, sociali ed economici attuali,
di Andrea Beccaro

 

Stephen Biddle, Nonstate Warfare. The Military Methods of Guerrillas, Warlords, and Militias, Princeton University Press, Princeton, 2021.

Da alcuni mesi siamo entrati in una nuova era della politica internazionale dove la guerra è tornata, come ha sempre fatto nella storia, a giocare un ruolo preminente. Serve quindi cercare di capire meglio il fenomeno che, con i mutamenti politici, tecnologici, sociali ed economici attuali, abbiamo di fronte. Il testo che qui presentiamo va proprio in questa direzione perché con un’analisi precisa, puntuale e articolata ci mostra sia alcune tendenze di lunga durata del fenomeno bellico sia aspetti più recenti e specifici da valutare con attenzione.

L’autore, Stephen Biddle (nella foto, in basso), è un noto esperto di questioni militari, docente presso la Columbia University e autore fin dai primi anni 2000 di diversi libri e ricerche sui più recenti conflitti cercando di individuare tendenze per le prossime guerre. Il suo nuovo lavoro non si discosta da quell’approccio e mostra come i concetti di guerra regolare e irregolare non siano così efficaci per spiegare i conflitti e le riflessioni strategiche a essi correlati.

Il volume conta diversi capitoli, ma è sostanzialmente diviso in due macro sezioni. Nella prima l’autore spiega e illustra la sua teoria basata sull’idea che la guerra sia un fenomeno unitario e che i concetti di “regolare” e “irregolare” siano solo due estremi dello stesso continuum. Per evitare confusioni, Biddle impiega però due nozioni diverse. Da un lato lo stile di guerra napoleonico, per riferirsi al massimo grado della guerra tra eserciti statuali regolari, un combattimento convenzionale ad alta intensità in cui grandi formazioni in uniforme e pesantemente corazzate manovrano all’aperto su campi di battaglia sostanzialmente rurali lontano dai grandi centri abitati dalla popolazione civile, impiegando una potenza di fuoco di massa per distruggersi a vicenda nel tentativo di conquistare e difendere terreno. Dall’altro la guerra di Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, come idealtipo di guerra irregolare in cui attori non-statuali usano mezzi “asimmetrici” ma militarmente non sofisticati, cercano di operare in aree densamente popolate e di mescolarsi indistintamente con le comunità civili e di combinare queste tattiche con strategie informative. La necessità di rivedere criticamente quelle categorie risulta evidente dal fatto che alcuni attori non-statuali utilizzano già metodi “convenzionali” ed è probabile che questo diventi più comune in futuro, inoltre alcuni stati sponsorizzano da tempo il terrorismo e altri si affidano sempre più a metodi di “guerriglia”. Biddle sottolinea giustamente come la distinzione tra guerra regolare e irregolare non possa risiedere tra i fini “politici” perché la guerra di tutti gli attori rimane politica in termini clausewitziani. Il vero problema riguarda l’entità della posta in gioco politica, e in particolare la distinzione che lo stesso Clausewitz ha tracciato tra guerre combattute per obiettivi politici limitati rispetto a quelle con obiettivi politici esistenziali.

L’idea dell’autore è che i due estremi prima introdotti, e tutte le possibilità intermedie, vadano messi su uno spettro continuo di metodi militari. Questi estremi, inoltre, sono empiricamente molto rari: quasi tutta la guerra reale dell’ultimo secolo è stata più vicina al centro dello spettro e oggi tale tendenza è confermata dalle recenti esperienze di Hezbollah e di ISIS. Questo per via della moderna tecnologia che porta a un livellamento delle capacità militari sul campo sia per gli attori statuali sia per quelli non-statuali.

I moderni attori non-statuali possono contare su una serie di risorse e tecnologie che gli permettono di condurre un tipo di guerra decisamente più simile a quella degli attori statuali rispetto a un secolo fa. Il fatto che non tutti gli attori non-statuali lo facciano è il frutto, secondo Biddle, di una diversa politica interna al gruppo. Ovvero quando il gruppo è più aperto in termini di organizzazione interna sarà più propenso a impiegare quel genere di armi, in caso contrario rimarrà su una posizione più vicina all’estremo della guerra “fabiana”.

Con varie statistiche e dati dai campi di battaglia, l’autore fa notare come la moderna potenza di fuoco esiga da tutti gli attori coinvolti comportamenti simili se si vuole sopravvivere sul campo di battaglia e svolgere le proprie missioni. Anche per questo i tradizionali elementi che molti studiosi mettono in luce per distinguere tra guerra regolare e irregolare in realtà non funzionano perché si tratta di differenze di grado non di natura.

Tra questi elementi l’autore ne prende in esame alcuni. Innanzitutto l’invisibilità, poiché si presume che i guerriglieri, in inferiorità numerica e senza armi, abbiano bisogno di nascondersi per sopravvivere di fronte a forze armate governative superiori. Tuttavia la stessa dinamica può essere applicata alla guerra convenzionale, dove esporsi significa morire. Il moderno campo di battaglia a partire dal 1914 è così letale che sarebbe un suicidio impiegare formazioni ammassate allo scoperto (una problematica messa in evidenza anche in Ucraina). In effetti, l’occultamento e le tecniche necessarie per fornirlo è stato probabilmente il tema più importante nella storia delle moderne tattiche convenzionali. Una caratteristica distintiva della guerra convenzionale post-1914 è stato il “campo di battaglia vuoto” che è risultato dall’adozione diffusa di copertura e occultamento nei moderni combattimenti ad alta intensità con la conseguente dispersione di forze sul terreno. Già nel 1917, le forze armate convenzionali scoprirono di non poter sfruttare la potenziale copertura del terreno rurale mentre operavano in formazioni grandi e concentrate, ma serviva suddividere le formazioni lineari in piccoli gruppi. Così facendo però forze amiche e ostili si mischiano e si offusca la distinzione tra fronte e retrovie centrale nel concetto di guerra regolare. Nell’era moderna con la possibilità di attacchi in profondità da parte di forze aeree o missilistiche di precisione e il rapido movimento dei fronti sui campi di battaglia sempre meno precisamente delineati, anche la guerra tra stati convenzionale offre molte meno garanzie di sicurezza nelle retrovie rispetto a una volta.

Un altro elemento su cui Biddle invita a riflettere è relativo alla difesa del terreno perché storicamente le forze guerrigliere evitano battaglie campali. Tuttavia scelte tattiche similari le ritroviamo in guerre convenzionali in cui il difensore cede terreno per guadagnare tempo. L’imboscata è un’altra tattica tipica della guerriglia, ma ampiamente usata anche da forze convenzionali per nascondersi e colpire di sorpresa.

Da questa analisi Biddle fa quindi derivare il fatto che il metodo di Quinto Fabio Massimo possa: ridurre radicalmente la propria vulnerabilità al fuoco ostile; consentire a piccole forze leggermente armate di sopravvivere abbastanza a lungo da infliggere al nemico perdite cumulative gravi; prolungare la guerra e imporre costi finanziari e politici sostanziali. Questi ultimi due punti sono stati ampiamente confermati dalle recenti operazioni in Ucraina.

Tutto ciò però porta a dover pagare dei costi. La riluttanza ad accettare un impegno decisivo nella difesa del terreno, ad esempio, significa che non si può tenere al sicuro alcun punto nel teatro, nemmeno depositi logistici, posti di comando o nodi di comunicazione.

Dalle dinamiche prima evidenziate risulta che gli attori che possono sfruttare un vantaggio materiale possono anche permettersi l’esposizione necessaria per proiettare potenza di fuoco e controllare il territorio. Gli attori inferiori in termini di materiale utilizzabile non possono invece sopravvivere a un’esposizione prolungata e devono accettare una minore capacità di controllare il territorio per riuscire a nascondersi. I vantaggi materiali derivano sia dalla quantità (numeri) che dalla qualità (tecnologia). Col passare del tempo, la tecnologia è proliferata e la preponderanza numerica è diventata meno utile in battaglia. Questi cambiamenti hanno ridotto la superiorità materiale utilizzabile degli stati rispetto agli attori non-statuali più piccoli, più poveri e questo a sua volta ha spostato l’optimum militare materiale per gli attori non-statuali dall’estremo “fabiano” verso metodi posti a metà dello spettro.

Le armi moderne sono così letali che anche una manciata di uomini può causare danni significativi, ma ciò vale sia per attori statuali sia per quelli non-statuali. Oggi il vero elemento limitatore al numero di truppe dispiegabili in zona di combattimento è la capacità del terreno di fornire una copertura adeguata alle forze disperse, non il numero di truppe teoricamente disponibili. Ciò ha sistematicamente ridotto il valore di uno dei più importanti vantaggi materiali di cui godono gli stati rispetto ai rivali non-statuali: la superiorità numerica. Gli eserciti regolari hanno quindi un incentivo a diventare sempre più “fabiani” nella ricerca di copertura contro armi sempre più letali; mentre gli attori non-statuali numericamente inferiori, un tempo totalmente fabiani, hanno un incentivo a spostarsi verso l’altro estremo, poiché il controllo territoriale reale diventa più possibile per loro. Biddle, quindi spiega in modo sistematico come il cambiamento tecnologico abbia progressivamente eroso l’utilità della superiorità numerica (un tema questo centrale per comprendere alcune dinamiche strategiche della guerra in Ucraina). A partire dall’inizio del XX secolo una potenza di fuoco letale si è diffusa verso gli attori non-statuali. Il fuoco indiretto, ad esempio, era in gran parte una prerogativa dello stato durante la prima guerra mondiale; negli anni ’60, la tecnologia dei mortai era quasi onnipresente tra gli attori non-statuali. Le mitragliatrici erano limitate agli eserciti statuali e furono schierate in numero relativamente piccolo anche dalle grandi potenze nel 1914, ma erano di routine negli arsenali non-statuali entro la metà del secolo. I carri armati apparvero per la prima volta sul campo di battaglia nel 1916, tuttavia nel 1990 più di un quarto di tutti gli attori non-statuali schieravano carri armati, mezzi corazzati di vario tipo e/o artiglieria pesante. Le armi a guida di precisione sono apparse per la prima volta nel 1967 in Vietnam; nel 1994, anche le milizie tribali somale avevano ottenuto accesso a missili antiaerei a guida infrarossa SA-7 di fabbricazione russa e ai missili anticarro filoguidati di fabbricazione americana.

La moderna potenza di fuoco è così letale che anche un piccolo numero di armi può saturare rapidamente intere aree annientando le unità lì ammassate. In un solo giorno, l’8 ottobre 1973, l’esercito israeliano perse 180 dei 290 carri armati che tentarono di assaltare allo scoperto le posizioni anticarro egiziane nel Sinai. In soli 40 minuti nel 1991, una singola unità di cavalleria statunitense composta da meno di due dozzine di veicoli corazzati ha distrutto 69 carri armati iracheni.

Ne consegue che il progressivo aumento della letalità delle armi nell’ultimo secolo e mezzo ha lentamente ma progressivamente eroso la reale utilità militare della preponderanza numerica e costretto anche eserciti statuali ben equipaggiati ad adottare cambiamenti comportamentali, spingendoli verso azioni più fabiane. Il vero cuore del sistema moderno della guerra è la copertura e l’occultamento per ridurre l’esposizione alla moderna potenza di fuoco.

Ma copertura e occultamento sono forse i due elementi più importanti della comune nozione di “guerriglia”: l’adozione da parte di molte grandi forze armate del sistema moderno in forma sempre più aggressiva rappresenta quindi un movimento progressivo da parte degli stati verso i metodi militari spesso associati intuitivamente con non statuali. La copertura naturale può essere molto efficace nel ridurre la vulnerabilità alla moderna potenza di fuoco, ma per sfruttarla è necessario smantellare le grandi formazioni ammassate e sparpagliarsi in piccoli gruppi su aree molto ampie.

La stessa tecnologia e potenza di fuoco però consente agli attori non-statuali di diventare meno fabiani per sfruttare le opportunità create dal nuovo approccio degli stati. Possono così non solo affrontare il nemico con armi analoghe, ma anche controllare il terreno in modo similare.

Per gli attori statuali questa situazione però costringe a un addestramento molto più articolato. Per mantenere un volume significativo di fuoco efficace senza una completa esposizione, le armi moderne devono essere integrate utilizzando tecniche di armi combinate; il movimento deve essere combinato con un fuoco di soppressione strettamente coordinato; e gli elementi mobili devono essere continuamente riforniti non solo di munizioni, ma anche di carburante, lubrificanti e pezzi di ricambio necessari per continuare quel movimento. La letalità sostenuta con le armi moderne richiede un’ampia scorta di munizioni; ma mantenere il necessario flusso logistico senza esporsi pone esigenze complesse. I convogli di autocarri o autocisterne sono molto più vulnerabili dei plotoni di carri armati, delle squadre di fanteria o dei gruppi di ribelli (e nelle prime fasi della guerra in Ucraina ne abbiamo avuto un’ulteriore prova).

Tali operazioni combinate però sono molto complesse e necessitano di una struttura organizzativa che devono possedere anche gli attori non-statuali. Ciò spiega, da un lato, il perché oggi molti di loro assomiglino a eserciti regolari, e, dall’altro, il perché alcuni gruppi non-statuali siano stati in grado di impiegare armi e tecniche moderne e altri, che mancavano di tale struttura, sono invece rimasti più ancorati all’estremo fabiano.

Nella seconda parte del volume l’autore testa la sua teoria prendendo in esame diversi casi studio focalizzati su vari attori non-statuali in differenti quadranti geopolitici. Si va dall’ovvio caso di Hezbollah a quello più storico dei Vietcong, dalle milizie somale tra 1992-1994 a quelle corate in quegli stessi anni fino all’esercito del Mahdi in Iraq.

Biddle, quindi, non solo costruisce una teoria in grado di cogliere efficacemente un problema di fondo dei moderni campi di battaglia, ovvero il fatto che non solo il rischio di scontrarsi con attori non-statuali è sempre maggiore, ma anche che la commistione tra attori statuali e non è in crescita e rischia di offuscare sempre più le classiche distinzioni moderne su cui si era concettualizzata la guerra; ma coglie anche perfettamente alcune dinamiche di fondo dei conflitti moderni, indipendentemente dagli attori coinvolti. Sono diversi, infatti, gli esempi e le tendenze descritte dall’autore che noi possiamo ritrovare in questi primi mesi di guerra in Ucraina. Il testo è quindi un utile lettura per comprende il moderno campo di battaglia e capire meglio le dinamiche conflittuali, le strategie e le difficoltà/opportunità dei vari attori coinvolti.

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)