di Fabio Massimo Nicosia

L’approvazione della manovra di questi giorni, frutto di un governo di professori tecnici e non di umili ragionieri o consulenti del lavoro, anche se la distinzione non si nota, suggerisce considerazioni di carattere più generale.

Occorre infatti considerare che siamo alla quarta o quinta manovra in pochi mesi, dato che è opinione di molti che le precedenti siano risultate inutili, in quanto già “mangiate” dagli interessi maturati sul nuovo debito pubblico.

Orbene, proviamo a ragionare su questo aspetto non da un punto di vista economico, con considerazioni sull’efficacia o l’iniquità dei provvedimenti assunti, ma da un punto di vista giuridico e della teoria del diritto.

Intendo riferirmi alla teoria del diritto di Bruno Leoni, il quale contestava, da un punto di vista liberale, l’onnipotenza del legislatore, in favore della common law di matrice britannica, perché la prima dà vita a provvedimenti sempre cangianti, mentre la seconda, essendo maturata nei secoli, garantisce maggiormente la certezza del diritto, dei rapporti giuridici e dei traffici.

Ricordo che qualche anno fa Berlusconi, il soi-disent liberale Berlusconi, andava da Vespa o altrove per vantare il fatto che il suo governo aveva approvato non so più quante centinaia o migliaia di nuove norme di legge su questo, su quello e sull’universo mondo: nuove norme sul copyright, sulle assicurazioni, etc. Il tutto in spregio della certezza del diritto.

Ogni nuova decisione statale (diciamo una legge) implica comunque la revoca di una precedente promessa, dato che l’assetto degli interessi stabilito con quella decisione è per definizione diverso dall’assetto precedente. Tutte le promesse dello Stato sono soggette alla clausola si volo, si voluero, ossia una clausola nulla nel diritto privato dei contratti. Questa è l’essenza del monopolio statale. Anche la costituzione è revisionabile, salvo che siano riconosciuti limiti di diritto naturale o internazionale (non a caso si parla del diritto internazionale come momento di inveramento del diritto naturale, ma si tratta di una corrispondenza empirica, storica, e non “necessaria”). Le leggi dello Stato sono tutte promesse a sé stesso.

E ciò in barba a quello che, già quaranta anni, fa il prof. Fabio Merusi chiamava l’affidamento del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, o dello Stato in generale.

Di affidamento del cittadino nei confronti dello Stato si è parlato in questi giorni soprattutto a proposito dei cosiddetti capitali scudati, ma in realtà ogni modifica normativa su qualche qualche accordo sotteso tra cittadini e Stato. Anche nel caso delle pensioni baby (quindici anni sei mesi e un giorno) era sottinteso un patto, che è stato violato dalla loro abolizione, dato che chi, specie donna, partecipava a un concorso pubblico, scartando altre ipotesi lavorative, metteva sul piatto della bilancia anche quell’opportunità. Quello era il contratto sociale, come lo era fino a ieri anche quello sulle pensioni. E ciò, ripetesi, a prescindere da ogni considerazione di necessità o equità, ma semplicemente per evidenziare il tipo di sistema giuridico nel quale siamo costretti a vivere, fin quando non ci sia offerta un’alternativa plausibile.

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