di Giuseppe Moscati
 
 La lezione di Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2021, pp. 194 (18,00 €) 
Studioso del pensiero democratico e in particolare del socialismo liberale, autore di saggi incentrati sull’opera di Kelsen, di von Hayek, di Salvemini e di Carlo Rosselli, Gaetano Pecora  (nella foto, in basso) conduce una disamina sull’insegnamento autenticamente laico che ci ha lasciato in preziosa eredità Norberto Bobbio.
Il vero oggetto di indagine di questo agile,
di Giuseppe Moscati

 

La lezione di Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2021, pp. 194 (18,00 €) 

Studioso del pensiero democratico e in particolare del socialismo liberale, autore di saggi incentrati sull’opera di Kelsen, di von Hayek, di Salvemini e di Carlo Rosselli, Gaetano Pecora  (nella foto, in basso) conduce una disamina sull’insegnamento autenticamente laico che ci ha lasciato in preziosa eredità Norberto Bobbio.

Il vero oggetto di indagine di questo agile, ma denso studio dedicato alla straordinaria figura di filosofo della politica quale è stata quella bobbiana credo coincida con l’essenza della storia dello Stato laico-liberale e, in senso più lato, con la vera e propria cifra della laicità.

Tutto ruota attorno al principio fondamentale della tolleranza, che il grande filosofo torinese considerava appunto l’unico valore genuinamente laico che siamo chiamati a custodire con cura, a promuovere con viva partecipazione e a trasmettere con tenacia alle nuove generazioni. Anche se l’autore, giustamente, riconduce tutto il discorso – così ampliandolo – a quello che egli chiama “il trittico del laicismo”: libertà-democrazia-tolleranza.

Premesso che da un punto di vista terminologico, o sarebbe meglio dire semantico, è da preferirsi sempre e comunque ‘laicità’ a ‘laicismo’, se non si vuole incorrere nel rischio di una pericolosa ambiguità che potrebbe distorcere l’autentico significato di costitutiva apertura della scelta, della ragione e della cultura laiche, l’argomentazione che propone Pecora ha una sua coerenza. Non a caso è egli stesso a sentire l’esigenza di mettere a punto, preliminarmente, dei “chiarimenti di un concetto equivoco” (cfr. pp. 8-11), per poi giungere poco più avanti ad affermare il concetto “laicismo sì, statolatria no” (cfr. pp. 11-13).

Come è naturale, qui la questione cruciale è, sì, eminentemente filosofico-politica, ma con chiari e significativi coinvolgimenti della sfera filosofico-morale come pure della dimensione politico-sociale che, non concedendo scorciatoie di sorte, impongono di mettere seriamente in relazione democrazia e valori morali (si vedano, in particolare, le pp. 19-21, ma anche le pp. 105-109 e 115-120). Ne deriva che con Bobbio non possiamo che affrontare l’atavico problema di dove cominci e dove finisca la libertà; di dove cominci e dove finisca la tolleranza; di dove cominci e finisca la stessa laicità ‘debole’ per cedere il posto a quella ‘forte’.

Il volume, d’altra parte, chiarisce anche quelli che secondo i suggerimenti bobbiani sono le condizioni e i limiti della ragione cosiddetta argomentativa: «quando l’argomentazione sarebbe necessaria perché l’altro è veramente e propriamente… l’altro, non è possibile; e quando è possibile non è più necessaria» (p. 153). È vero anche che molto, in un simile contesto, finisce per dipendere dalle parole e, piuttosto opportunamente, viene qui infatti ricordato il pronunciamento di un lucido Jean Guitton che, contro l’idea della presunta neutralità delle parole, ha scritto che queste ultime altro non sono che delle «catene sonore che obbligano i nostri pensieri a un percorso pre-stabilito» (J. Guitton, Il lavoro intellettuale, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987, p. 109; qui cit. a p. 151).

Rimane il fatto che, in spirito di adulta responsabilità, siamo anche costretti a misurarci con il banco di prova della ‘costituzione fragile’ della stessa idea di tolleranza. Questa, proprio come la democrazia, nella sua natura aperta ha la propria forza e, al contempo, la propria vulnerabilità. Oltretutto, ricorda Pecora, il principio della tolleranza nella sua versione liberale – pur essendo un dovere di carattere rigorosamente giuridico – non necessariamente va a costituire anche un vero e proprio dovere morale (cfr., in particolare, p. 17).

Il lumicino della ragione si concentra inoltre su alcuni aspetti che potremmo in un certo senso definire pragmatici: oltre che un valore di importanza fondamentale, la pace è per esempio la prima delle ragioni irrinunciabili di un atteggiamento tollerante, sempre tenendo presente la dignità di ogni individuo a prescindere dalla sua nascita, dalla sua condizione economica, dal suo status civile, dalla sua opinione politica e in generale dagli orientamenti del suo foro interiore.

Particolarmente interessante, infine, la parte in cui il saggio di Gaetano Pecora tratta di religione, sentimento religioso, religiosità e ateismo: se prima lo aveva solamente anticipato (citando la “tempera donde uscivano riscaldate le virtù del suo pensiero laico”, cfr. p. 10), è soprattutto nella parte finale del suo studio che l’autore precisa a dovere come mai un grande maestro della ragione quale Bobbio è stato non abbia certo soppresso il proprio fascino verso il mistero. Il suo essere un perplesso insomma, là dove il fraterno amico Aldo Capitini era un persuaso, non ha mai corrotto la sua naturale tendenza a tenere insieme cuore e intelletto. Ecco, appunto, anche in questo un autentico maestro.

 

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