Antonio Funiciello, Leader per forza. Storie di leadership che attraversano i deserti, Rizzoli, Milano, 2023, pp. 300, Euro 18
di Silvio Minnetti
“I leader occidentali degli ultimi vent’anni anni hanno vagato coi loro popoli in quel deserto che separa il vecchio ordine mondiale da uno nuovo, tutto da costruire, senza condurli verso una destinazione sicura. Ma il deserto è enorme e ci circonda. E, quel che più conta,

Antonio Funiciello, Leader per forza. Storie di leadership che attraversano i deserti, Rizzoli, Milano, 2023, pp. 300, Euro 18

di Silvio Minnetti

I leader occidentali degli ultimi vent’anni anni hanno vagato coi loro popoli in quel deserto che separa il vecchio ordine mondiale da uno nuovo, tutto da costruire, senza condurli verso una destinazione sicura. Ma il deserto è enorme e ci circonda. E, quel che più conta, resta ancora tutto da attraversare.”. Antonio Funiciello, Head of Identity Management di Eni, capo degli staff dei Presidenti del Consiglio Draghi e Gentiloni, appassionato di Machiavelli, si interroga sul mistero della leadership. Come si crea, come si forma un leader, come riesce a mantenere la guida?  In tal modo ci dona una gustosa galleria di ritratti di politici e statisti introducendoci negli arcana imperi, anche con interessanti analogie e differenze tra personaggi storici. Le pagine più profonde sono dedicate a Mosè.

L’ Autore (in basso, nella foto) ha avuto il privilegio di essere stato vicino a leader dotati di “reputazione”, come capo di Gabinetto di Gentiloni e di Draghi. Ha visto la leadership in azione, soprattutto con il cosiddetto ” metodo Draghi”, con quella forza morale che consente di strappare risultati importanti con l’UE, come la possibilità di presentare con due settimane di ritardo i progetti del Pnrr, come il sostegno al popolo ucraino e sul prezzo massimo del gas russo in quanto Europa unita. La citazione iniziale è in realtà alla conclusione del libro, esaminando la più lunga leadership in questo secolo, 16 anni, quella di Angela Merkel. L'”eredità che manca” o “senza legacy“.

Questa è l’amara conclusione. Leader potente ed influente ha rafforzato la posizione della Germania nel mondo ma non l’Unione europea, anche se il suo pragmatismo ha consentito in pandemia di varare Next Generation UE. Capace di entrare nelle questioni e di trovare soluzioni, la Cancelliera è rimasta vittima del paradosso della leadership tedesca: dominante sul piano economico ma recalcitrante su quello politico.

È fallito il tentativo di costruire un equilibrio virtuoso tra Russia e Germania e quindi tra Russia ed Unione Europea. L’ invasione russa dell’Ucraina ha rivelato la debolezza del metodo Merkel del navigare a vista, di dialogare con le autocrazie del mondo, Russia, Turchia, Cina per modernizzare l’economia tedesca ma ci ha lasciato in un deserto ” tutto da attraversare”. (p. 275). Positivo il suo pragmatismo in epoca di populismi ma l’integrazione politica europea è oggi a rischio, anche a causa di “Merkiavelli,” come il grande sociologo tedesco, U. Beck, ha definito il suo approccio alla politica. “L’ accondiscendenza generale e le continue concessioni al leader russo non sono servite a domare la sua brama imperiale di potere. L’hanno anzi alimentata. Nell’ epoca della ‘fine della fine della storia’,  formula da cui muove nel suo ultimo libro Lucio Caracciolo, l’assenza di visione politica e di coraggio trasformativo, può risultare, alla lunga, letale” (pp.272- 273).

I leader in un passaggio d’ epoca devono pensare in modo creativo e diagnostico, afferma H. Kissinger. Le future leadership tedesche, francesi, italiane, spagnole, più delle altre ventitré degli altri Paesi UE, o saranno pienamente europee o si limiteranno a gestire piccole rendite di posizioni nazionali destinate a perdere quota. La lunga leadership di A. Merkel risulta irrisolta, non lascia una eredità politica per la mancanza di visione del futuro spendibile oggi.

Dal libro si evince che il leader ha un campo visivo più sviluppato dei follower. Riescono a vedere in lungo ed in largo. È una caratteristica innata che solo pochi riescono a sviluppare con notevole esercizio. È innanzitutto una grande capacità di osservazione. Funiciello non è suggestionato dal mito del leader forte ma ci fa comprendere che senza leadership autorevoli sarà difficile attraversare il deserto attuale.

Abbiamo una carenza di leader di questo tipo oggi. Per delineare una buona leadership, vengono analizzate tre coppie di personaggi politici: Golda Meir e Harry Truman, Cavour e Lincoln, Nelson Mandela e Vaclav Havel. Innanzitutto occorre la disponibilità ad esserlo e imparare a diventare leader attraversando i deserti come Mosè. Bisogna credere in qualcosa per ispirare altri. Ad esempio Golda Meir e la fede in Israele.

Il leader deve saper delegare senza accentrare. Così fece Truman per far approvare il Piano Marshall, che salvò ma con il nome del suo delegato. Sa pianificare tutto senza affidarsi solo ad intuizioni. Così fece Cavour con il gioco internazionale ed interno del domino. Sa giocare sporco quando è necessario, come fece Lincoln per far passare l’abolizione della schiavitù. Impara a rispettare l’ avversario fino alla riconciliazione  con i suoi carcerieri, come fece Mandela. Riesce ad andare controcorrente divenendo leader del dissenso attraverso un forum civico dal basso, come Havel, passando dal carcere al Castello del Presidente. La dissidenza diventa scintilla dell’azione trasformativa. In generale, appare chiaro che i grandi leader sono forgiati da aspre lotte politiche.

In conclusione, oggi viviamo il “tempo di una lunga risacca. Nel nuovo secolo la liberaldemocrazia continua ad arretrare. Il fenomeno si produce in coerenza di leadership occidentali incapaci di rilanciare le ragioni morali di questo regime politico e di leader orientali disposti a tutto per favorirne il declino… La sfida che rischiamo di perdere è quella dell’arretramento globale della democrazia liberale“. (p. 15).

La tesi del libro è che oggi servirebbero leader autorevoli come Draghi. La leadership è un fenomeno storico. Non conta tanto nel tempo del suo esercizio ma per l’eredità che lascia quando esce di scena.

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