di Silvia Bartoli
Valentina Altopiedi, Donne in Rivoluzione. Marie-Madeleine Jodin e i Diritti della Citoyenne, con l’edizione dei Pareri legislativi per le donne indirizzati all’Assemblea nazionale (1790), Edizioni di Storia e Letteratura (collana “Studi storici e politici”, 13), Roma, 2021, pp. viii – 148.
È possibile scrivere una ‘nuova’ narrazione o, meglio, una narrazione ‘altra’ da quella tramandata dai manuali senza per questo venire meno, o ‘tradire’, le ragioni e gli ideali sottesi agli accadimenti della Storia, soprattutto quando ci si riferisce a un periodo di radicali trasformazioni quale è stato quello della Rivoluzione francese?
In anni recenti il recupero di documenti, di testi accuratamente vagliati, studiati, pubblicati e tradotti – anche in italiano – ha permesso di dare voce e dignità a personaggi, in particolar modo femminili, fino ad oggi rimasti nell’oblio, per non dire colpiti – addirittura – da una sorta di damnatio memoriae.
Ne è esempio eclatante, dirompente la riscoperta della drammaturga occitana Olympe de Gouges (1748-1793), recentemente restituita agli onori della storia della Rivoluzione francese in quanto autrice di opere teatrali e scritti ‘sovversivi’ e, in particolare modo, della Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne (Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina) pubblicata dalla stessa de Gouges a Parigi nel 1791: l’amore per gli ideali di giustizia, libertà e uguaglianza, la strenua difesa dei diritti delle persone più vulnerabili (donne, bambini, anziani, disoccupati, schiavi) ne decreteranno la condanna a morte «per avere dimenticato le virtù che convengono al suo sesso».
Entro questo contesto si colloca anche la recentissima riscoperta di un’altra figura femminile, Marie-Madeleine Jodin cui Valentina Altopiedi (in basso, nella foto)ha dedicato la monografia Donne in Rivoluzione. Marie-Madeleine Jodin e i diritti della citoyenne.
Olympe de Gouges, Marie-Madeleine Jodin sono alcune fra le tante donne – come ben ha evidenziato Thomas Casadei nella Postfazione alla monografia di Annamaria Loche, La liberté ou la mort. Il progetto politico e giuridico di Olympe de Gouges (Modena, Mucchi editore, 2021, p. 115) – «presenti nella storia» ma «assenti dalla storiografia», mai nominate «nei manuali di storia delle dottrine politiche, di storia del pensiero e della filosofia politica, di storia della filosofia del diritto … così come in generale nelle trattazioni sulla Rivoluzione francese».
«La storiografia rivoluzionaria da tempo ormai si interroga – ribadisce Altopiedi nella sua Introduzione al volume – sulla presenza e sulle pratiche delle Francesi nella Rivoluzione, sollevando questioni che interessano l’intera comprensione del fenomeno rivoluzionario: in particolare il tema della costituzionalizzazione dei diritti e della cittadinanza»; è, infatti, nelle azioni di queste patriote e, soprattutto, nei loro scritti che vanno individuate le radici delle lotte di rivendicazione dei diritti delle donne e delle minoranze del XIX e XX secolo e, più in generale, dell’emancipazione femminile.
«Indagare la storia dei diritti della donna» – spiega l’autrice – «significa affrontare la storia di un duplice silenzio: il silenzio di una storiografia che a lungo, se non per qualche rara eccezione, ha escluso dalle sue ricerche pensatrici, intellettuali, attiviste nonché movimenti e opere promotrici di un nuovo linguaggio dei diritti, e il silenzio delle leggi e del dibattito pubblico che dietro la pretesa iperonimia del concetto di uomo titolare dei diritti […] ha escluso, implicitamente e categoricamente, dalla sfera pubblica e dal riconoscimento dei diritti più della metà della comunità» (p. 18). La Rivoluzione francese ha, senza tema di smentita, rappresentato un vero ‘spartiacque’ nel lungo percorso (ancora oggi non pienamente compiuto) di presa di coscienza da parte delle donne dei propri diritti.
Ma chi è Marie-Madeleine Jodin? Altopiedi ne traccia un’accurata biografia attraverso l’epistolario intercorso con il filosofo Denis Diderot (1713-1784) che di Jodin fu premuroso tutore e, anche, amministratore dei beni.
Nasce a Parigi nel 1741 e qui trascorre la sua infanzia e la sua giovinezza. È figlia di Jean Jodin e di Madeleine Dumas; il padre, originario di Ginevra, si trasferisce a Parigi dove acquisisce una certa fama come orologiaio e inventore tanto da essere ammesso alla Académie des Sciences e divenire collaboratore di Diderot. In seguito alla morte del genitore, nel novembre 1761 – Marie-Madeleine ha appena 20 anni – la giovane viene internata, assieme alla madre, nell’hôpital della Salpêtrière con l’accusa di libertinage: è, verosimilmente, lo zio paterno che per difendere i propri interessi nella contesa ereditaria, denuncia la madre di Marie-Madeleine di costringere la figlia alla prostituzione.
Le donne trascorreranno qualche anno nel manicomio parigino e usciranno profondamente segnate – la figlia, soprattutto – da questa disumana esperienza: quando fra il 1764 e il 1765 la giovane verrà liberata, abbandonerà Parigi e la Francia, quasi a volere riscattare l’onta subita, intraprendendo la carriera di attrice e rivendicando per sé un «nuovo spazio di libertà e di opportunità» (p. 12).
La corrispondenza con Diderot consente di ricostruire le vicende di questo arco temporale – compreso fra il 1765 e il 1769 e, poi, ancora oltre – durante il quale Jodin si sposta da Varsavia, a Dresda, a Bordeaux dove recita ingaggiata da compagnie teatrali, francesi e non. Il filosofo la ‘segue’ e con atteggiamento quasi paterno la incoraggia, facendo leva sulla sua ferma convinzione del valore etico del teatro, la consiglia nella scelta delle parti che valorizzino il suo talento ma, anche, la mette in guardia dai ‘pericoli’ del mestiere rammentandole di essere sì «un enfant malheureux» («una fanciulla sfortunata») ma pur sempre «un enfant bien né» («una fanciulla ben nata») (è noto che all’epoca attrici e attori erano oggetto di pesanti pregiudizi a tal punto che la Chiesa cattolica li aveva esclusi dai sacramenti e ancora nel 1789 l’Assemblea costituente si interrogava sull’opportunità o meno di concedere agli attori il diritto di voto, come spiega Altopiedi: cfr. pp. 11-17).
Jodin non rimarrà immune da accuse di follies e di impertinences e di essere coinvolta in scenes scadaleuses con un suo amante. Incurante del parere di Diderot che in seguito la invita ad abbandonare le scene, continua a recitare e nel 1774 si trasferisce a Angers dove viene scritturata da M.le de Montansier, una delle più celebri imprenditrici teatrali del tempo, nella compagnia di Neuville. Ma dopo breve tempo il contratto, fra reciproche accuse, viene sciolto; da quella data pare che Jodin abbia smesso di calcare definitivamente il palcoscenico per ritirarsi a vita privata. Nessuna traccia nella corrispondenza con Diderot, nessuna questione con la giustizia francese, e parigina.
È verosimile che il pensiero politico di Jodin maturi lentamente negli anni successivi alla carcerazione: un pensiero che prenderà corpo nella prima stesura delle Vues législatives pour les femmes (Pareri legislativi per le donne); sarà la stessa autrice a inviarne copia a Jean-Baptiste Lynch – un magistrato che ella ha certamente conosciuto durante il suo soggiorno a Bordeaux – per riceverne il parere. Anche Jodin, così come de Gouges, sceglie consapevolmente di ricorrere all’uso della parola scritta – l’unico strumento di cui all’epoca possono disporre le donne per fare sentire la propria voce: ne è prova, tangibilissima, la lunga teoria di chaiers de doléance, petizioni e dichiarazioni a firma femminile che lentamente stanno riemergendo dai ‘cassetti’ della Storia. Documenti che oggi forniscono elementi interessanti per ricostruire e analizzare la condizione della donna nella Francia di Ancien Régime, e attestano come le donne non siano state testimoni passive degli accadimenti di quell’epoca ‘tormentata’ ma audacemente abbiano rivendicato il loro diritto di prendere parte alla vita politica, affrontando anche temi scottanti del dibattito pubblico e istituzionale.
Il lungo silenzio viene interrotto da Jodin quando a seguito della convocazione degli Stati generali (24 gennaio 1789), dell’istituzione dell’Assemblea costituente (9 luglio) e della pubblicazione de La déclaration des droits de l’homme et du citoyen (26 agosto), ella si convince come «[sia] finalmente giunto il momento di offrire il proprio contributo alla stesura della nuova Costituzione» (p. 17). Nel 1790 dà alle stampe il testo definitivo delle Vues législatives, indirizzate all’Assemblea nazionale e a tutto il popolo francese, accompagnato dalla risposta di Lynch (datata al novembre 1786) e da sue ulteriori considerazioni sul divorzio: testi che vengono tutti puntualmente riprodotti in italiano (con testo francese a fronte) nella monografia di Altopiedi e corredati di un ricco apparato critico (pp. 37-131).
Il progetto di Jodin entra a fare parte di diritto di una letteratura di genere di tutto rispetto, affiancandosi ai testi di de Gouges, di Etta Palm d’Aelders (Appel aux Françoises, 1791), di Madame de Cambis (Du sort actuel des femmes, 1791), nonché di Mary Wollstonecraft (A Vindication of the Rights of Woman, 1792) e, non ultimo, di Nicolas de Condorcet autore, già nel 1790, de De l’admission des femmes au droit de cité: si tratta di scritti, tutti ispirati agli ideali della Rivoluzione ma che, della Rivoluzione, rappresenteranno al contempo la voce critica, denunciandone limiti e imperfezioni (pp. 21-26).
Le Vues altro non sono che un piano da condividere con tutte le altre donne – a loro Jodin lo dedica: «A mon sexe» («Al mio sesso»), dacché «Et nous aussi nous sommes citoyennes» («Anche noi siamo cittadine») – attraverso il quale ella intende riformare la società, attribuendo alle donne un ruolo fondamentale nel rinnovamento e nella moralizzazione della res publica.
Ella auspica che l’Assemblea costituente coinvolga «nell’elaborazione del nuovo codice legislativo, che deve essere promulgato in nome della nazione intera, anche quella metà essenziale della società che per secoli la politica aveva condannato al silenzio» (p. 26). Questo asservimento, secondo Jodin, è causato non dall’imperfezione e dall’incapacità della natura femminile, bensì dalla negligenza delle leggi che hanno permesso che si introducesse nella società una scandalosa licenza dei costumi. Secoli di subordinazione hanno soffocato nelle donne la consapevolezza dei loro diritti ed è alla loro innata attitudine moralizzatrice e alla loro capacità politica – che è pari a quella degli uomini – che Jodin attribuisce il compito di rifondare i costumi pubblici.
Il primo atto della riforma riguarda – non è un caso, data l’esperienza vissuta in prima persona alla Salpêtrière – l’abolizione della prostituzione tout court perché ritenuta un oltraggio al titolo di cittadine, spose e madri e una pericolosa minaccia alla moralità collettiva. Jodin è convita assertrice dell’inutilità dei provvedimenti detentivi utilizzati contro le femmes publiques (così venivano chiamate con sprezzo le prostitute) durante l’Ancien Régime: nel suo progetto di riforma il diritto di punire dovrà accompagnarsi alla volontà di correggere. Data la necessità di intervenire sulle cause economiche che determinano il fenomeno, propone di istituire manifatture e ateliers, finanziati dal re, per fornire alle donne indigenti «i rudimenti di una professione e le risorse di un’educazione che deve essere comune a tutte le classi dell’umanità, la lettura, la scrittura e le regole del commercio» (p. 32).
Con la stessa determinazione Jodin propugna l’abolizione delle accademie di gioco e delle stampe oscene di cui, ella asserisce, i muri della città sono tappezzati. Anche la pittura, le arti e il teatro sono strumenti che corrompono la pubblica decenza e sono tutti da riformare.
Jodin si fa promotrice poi del progetto di un Tribunale per sole donne strutturato attraverso l’istituzione di una camera di conciliazione (chiamata a giudicare le cause di separazione e tutte le questioni sollevate fra i due sessi) e una camera civile (con il compito di deliberare su questioni di pubblico scandalo) e la convocazione, alla stregua dell’Assemblea costituente, di una Assemblea anch’essa costituita da sole donne, scelte fra le élites della capitale e della provincia («un uomo non poteva, con maggiore equità, rappresentare una donna, dal momento che i rappresentanti devono avere gli stessi interessi del rappresentato): come si trova scritto nei Cahiers de doléances et réclamations des femmes redatti da una, non meglio identificata, Madame B.B. nel 1789, «le donne non possono dunque essere rappresentate che dalle donne» (p. 8).
Non solo. Jodin si fa convinta sostenitrice di alcune istanze che, all’epoca, dovevano rappresentare questioni di grande urgenza: si schiera con determinazione a favore dell’istituzione del divorzio – per certo una delle principali rivendicazioni femminili nel decennio rivoluzionario – e contro il matrimonio, reputato «le tombeau de l’amour et de la confiance» («la tomba dell’amore e della fiducia»); per dimostrare la necessità del divorzio, introduce la questione del riconoscimento della paternità, dei figli nati fuori dal matrimonio. Con altrettanta risolutezza condanna la pratica della monacazione forzata: una delle funzioni assegnate alla sua camera di conciliazione è proprio quella di impedire alle famiglie di costringere le figlie a prendere i voti.
Le Vues di Jodin subiranno la stessa sorte della Declaration di de Gouges: nonostante la pubblicazione passeranno sotto silenzio. Sia l’una che l’altra non avranno l’opportunità di seguire gli esiti delle loro convinzioni né di assistere alle sorti della Rivoluzione: come è noto, de Gouges verrà sottoposta al supplizio della ghigliottina il 3 novembre 1793; Jodin morirà, per cause ignote, nell’agosto 1790 a Fontainebleau, non lontano da Parigi, all’età di 49 anni.
Archivio storico-giuridico “Anselmo Cassani”, Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità, Univ. di Modena e Reggio Emilia
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