di Carlo Marsonet
 
Flavio Felice, Michael Novak, IBL Libri, Torino, 2022, pp. 166; Giacomo Brioni, Anthony de Jasay, IBL Libri, Torino, 2022, pp. 156; Jacopo Marchetti, Douglas C. North, IBL Libri, Torino, 2022, pp. 152.
È stata da poco inaugurata dalla casa editrice dell’Istituto Bruno Leoni una nuova collana dedicata ad alcuni pensatori che, nel corso della seconda metà del Novecento, si sono distinti per aver contribuito alle scienze sociali in modo originale.
di Carlo Marsonet

 

Flavio Felice, Michael Novak, IBL Libri, Torino, 2022, pp. 166; Giacomo Brioni, Anthony de Jasay, IBL Libri, Torino, 2022, pp. 156; Jacopo Marchetti, Douglas C. North, IBL Libri, Torino, 2022, pp. 152.

È stata da poco inaugurata dalla casa editrice dell’Istituto Bruno Leoni una nuova collana dedicata ad alcuni pensatori che, nel corso della seconda metà del Novecento, si sono distinti per aver contribuito alle scienze sociali in modo originale. L’IBL, com’è noto, costituisce un unicum nel nostro Paese. Esso, infatti, è un istituto di ricerca che mira a promuovere il liberalismo classico e il libertarismo in un territorio in cui il liberalismo ha, ed ha avuto, ben pochi autentici rappresentanti. Basti pensare al fatto che esso è perlopiù associato a una corrente che, per chi ha in mente i fondatori del pensiero liberale e fa della libertà individuale il più alto fine politico, direbbe Lord Acton, poco o nulla vi ha a che fare. Secondo questo punto di vista, per sommi capi, John Rawls, e non magari Friedrich von Hayek, è reputato il massimo esponente del liberalismo. Un punto di vista più che discutibile, ma che in Italia è fatto proprio da più. Non c’è allora da stupirsi se l’idea o il concetto di liberalismo è divenuto più affine a quel liberalism di marca statunitense che Giovanni Sartori ebbe a definire – nel contesto americano, va comunque tenuto a mente – una sorta di socialismo proprio di un Paese che non ha mai davvero conosciuto il socialismo. Lo stato, allora, secondo un tale punto di vista, non è visto con scetticismo o, con riferimento ad Albert J. Nock, come un nemico, bensì come un alleato e un protettore della libertà individuale, che viene in realtà a essere soppiantata da un inesorabile scivolamento verso l’egualitarismo. La libertà, dunque, viene a delinearsi come la capacità di fare qualcosa per il tramite dell’intervento statale e non, invece, come una condizione che deve essere esercitata responsabilmente dagli individui nonostante il – e pertanto non grazie al – potere politico.

Promotrice delle idee liberali classiche e di autori come il già citato Hayek ma anche Ludwig von Mises, Bruno Leoni e, più recentemente, Michael Oakeshott, l’IBL con la nuova collana si pone l’obiettivo, in primo luogo, di rendere disponibile al lettore italiano il pensiero di molteplici autori e pensatori che nel nostro Paese sono conosciuti a una sparuta minoranza di studiosi o del tutto ignoti e che hanno elaborato idee peculiari nel campo delle scienze sociali. Si tratta di monografie introduttive di figure intellettuali in alcuni casi molto diverse tra di loro. Infatti, se i primi tre volumi appena usciti, scritti rispettivamente da Flavio Felice, Giacomo Brioni e Jacopo Marchetti, sono dedicati a tre pensatori con tratti più o meno marcatamente liberali (seppure con le differenze del caso), ovvero Michael Novak (1933-2017), Anthony de Jasay (1925-2019) e Douglas C. North (1920-2015), e sono in cantiere altri titoli riconducibili a tale alveo su autori quali Murray Rothbard o la Scuola di Chicago, nel futuro, con l’obiettivo di pubblicazione di sette od otto volumi annuali, ne seguiranno dedicati a figure su cui occorre o ri-occorre, nel caso di nomi già ben noti, porre l’attenzione di un pubblico troppo rinchiuso nel più tetro conformismo del pensiero: Hannah Arendt, Niklas Luhmann, Leo Strauss, Michael Oakeshott, Raymond Aron, Christopher Lasch, solo per fare alcuni nomi. A ciò va aggiunto che verrà data attenzione pure ad alcune figure italiane di primo piano, quali, ad esempio, Giovanni Sartori, concepito troppo come “scienziato” politico e troppo poco come “teorico” della politica, Augusto del Noce, Nicola Matteucci e Sergio Ricossa.

Una dei tratti distintivi della collana diretta da Raimondo Cubeddu, e nel cui comitato scientifico figurano studiosi quali Sergio Belardinelli, Giovanni Giorgini e Alberto Mingardi, è che ad autori delle monografie già affermati, come è il caso di Flavio Felice, verranno affiancati studiosi che, invece, si trovano all’inizio del loro percorso accademico, com’è il caso di Giacomo Brioni (dottorando) e Jacopo Marchetti (assegnista di ricerca). Tutti i volumi, però, seguiranno una medesima struttura. All’introduzione, al profilo biografico e al contesto culturale in cui s’inserisce il loro sviluppo intellettuale, necessario per storicizzare ovvero dar conto dell’evoluzione delle proprie idee e dei propri studi – un’altra caratteristica della collana è quella che, potremmo dire, fa proprio un modo di procedere tipico della storia del pensiero politico: la convinzione che le idee non fluttuano in un vuoto astratto, ma s’inseriscono e risentono della realtà in cui si situano – sarà fatta seguire una parte centrale caratterizzata dall’analisi delle loro maggiori opere e dei temi cruciali nell’economia del loro pensiero per concludere con le influenze che, a partire da essi, si sono sviluppate e una fondamentale sezione bibliografica utile per dar conto delle pubblicazioni degli autori.

In relazione ai volumi appena pubblicati, Felice, da allievo di Novak, ne rende la complessità del pensiero ponendo particolare attenzione al tentativo del teologo e politologo statunitense di costituire un ponte tra il liberalismo classico e la Dottrina Sociale della Chiesa. Nell’ottica di Novak, e per rifarsi all’eredità di un autore a lui caro Wilhelm Röpke, il liberalismo non costituisce affatto l’abbandono del Cristianesimo, ma ne è anzi il più legittimo figlio spirituale. L’individuo è infatti il perno e centro focale che unisce – seppure nella dottrina cristiana sia caricato di contenuti personalistici – tali pensieri all’insegni del primato irriducibile a qualsivoglia potere, in particolare quello più pernicioso perché difficilmente imbrigliabile, ovvero il potere politico, della dignità umana. Nel mostrare ciò, Novak concepì l’impresa non come un freno o un pericolo per l’individuo ma anzi come una vocazione che si fonda su alcune qualità o virtù che onorano e fortificano la personalità umana: la creatività, l’amore per la comunità e il senso pratico, o realismo, che caratterizzano, o dovrebbero caratterizzare, l’anima imprenditoriale.

Dal canto suo, Brioni mostra l’estrema singolarità del contributo di de Jasay, pressoché sconosciuto in Italia, fatta eccezione per la traduzione di un paio di volumi e un seminale contributo di Alberto Mingardi di qualche anno fa (Anthony de Jasay: il liberalismo e lo Stato preso sul serio, 4, 2019, «Rivista di Politica»). Profondamente scettico del liberalismo classico come teoria capace di limitare il potere nonché radicale critico della politica, in fondo basata sull’inflazionario aumento di diritti ovvero di scelte collettive che vanno a discapito dell’individuo come entità in grado di scegliere per sé in modo adulto e responsabile, il teorico ungherese concepì lo stato come entità autonoma razionale che si prefigge di massimizzare il potere e che dunque si situa in siderale contrapposizione con l’individuo in grado di far da sé: alla libertà di contratto, esso sostituisce l’arbitrio mediante l’abito seducente dei diritti – il che comporta un aumento dei poteri statali e una diminuzione delle prerogative individuali.

Marchetti, infine, si focalizza sull’economista e teorico delle istituzioni americano, Douglas C. North, ponendo particolare enfasi sul fatto che quello che sarà insignito col Premio Nobel per l’economia nel 1993 promosse un nuovo approccio allo studio dell’economia, quello della cosiddetta Nuova storia economica. Essa, in sostanza, si basava sul metodo cliometrico, ovvero, per dirla con Carlo Maria Cipolla, un metodo chiaro e distinto che utilizza l’analisi quantitativa e l’inferenza statistica, la quale, d’altro canto, corre pure il rischio di un’eccessiva rigidità formalistica. Ma, ricorda Marchetti, egli è anche da ricordare teorico delle istituzioni. Perché esistono nazioni ricche e nazioni povere, si domandava North? In buona sostanza, secondo North ciò può essere ricondotto al fatto che in Occidente l’accesso aperto all’uso della conoscenza ha portato allo sviluppo di una cultura individualistica amica della libertà di commercio e della tutela della proprietà. Nelle aree più depresse, invece, l’assenza di regole impersonali e di una cultura individualistica, e la presenza invece di valori sacrali e norme di stampo religioso hanno impedito un tale sviluppo dei mercati. Le proprietà “ecologiche” delle istituzioni, ovvero l’interdipendenza tra ambiente e agenti costituiscono, nell’ottica della teoria dell’evoluzione culturale northiana, un potente motivo esplicativo della ricchezza delle nazioni. Una teoria, questa, che ha avuto importanti epigoni negli anni più recenti, basti pensare ai lavori di James Robinson e Daron Acemoglu dedicati proprio ai motivi “ecologici” della prosperità delle nazioni.

Carlo Marsonet, dottorando Luiss – Guido Carli, Roma

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)