di Mauro Zampini
Non foss’altro,  il governo del cambiamento in  soli sei mesi ha demolito un luogo comune, resistente e superficiale come lo sono in genere i luoghi comuni. Quello del napoletano scaltro e geniale, impersonato da Luigi Di Maio, che se la cava sempre e comunque;  e del settentrionale ingenuo e malaccorto, nel caso Matteo Salvini, che il successo se lo suda con il duro lavoro quotidiano.
Come da contratto di governo, che non contempla ruoli  comuni e condivisi, 
di Mauro Zampini

Non foss’altro,  il governo del cambiamento in  soli sei mesi ha demolito un luogo comune, resistente e superficiale come lo sono in genere i luoghi comuni. Quello del napoletano scaltro e geniale, impersonato da Luigi Di Maio, che se la cava sempre e comunque;  e del settentrionale ingenuo e malaccorto, nel caso Matteo Salvini, che il successo se lo suda con il duro lavoro quotidiano.

Come da contratto di governo, che non contempla ruoli  comuni e condivisi,  il  primo (ministro dei due principali problemi nazionali, lo sviluppo economico e il lavoro), si è inoltrato nel labirinto di una situazione finanziaria alquanto precaria. E da lì sparge previsioni di un nuovo boom economico – quasi un biglietto della lotteria -, indifferente e insofferente alle previsioni funeste di tutti gli esperti in scienza e pratica dell’economia.

Dal suo lato,  il ministro dell’interno ha slegato fino ad oggi  i propri interessi e  le proprie sorti dall’andamento dell’economia: con il giaccone della polizia eletto a simbolo di partito, viaggia senza sosta protetto da un radioso arcobaleno sopra la testa. Quello dei facili successi che stordiscono e inebriano momentaneamente gli italiani, tenendoli lontani dai problemi quotidiani. In via di esaurimento lo stiracchiato  filone aureo dei migranti, occultata la reboante promessa dei rimpatri, ecco quello praticamente inesauribile del “recupero terroristi latitanti”. Un buon numero, sparsi per il mondo: al ritmo impossibile di un recupero al mese,  il ministro e capo partito ci vive di rendita per una intera legislatura. Di questo passo, Matteo Salvini alle elezioni europee ci arriva in carrozza, mentre il collega Luigi Di Maio arranca circondato da una nuvola plumbea di pessimismo generale.

Destini diversi sembrano attendere i due capipartito e capigoverno, almeno nell’immediato e nel breve termine: come sembrano testimoniare i sondaggi, probabilmente peraltro mai così aleatori e contingenti, emotivi, in un sistema politico al momento mutilato di una parte fisiologica, l’opposizione. In realtà, entrambi i contraenti del patto di governo – patto che già mostra, dopo pochi mesi, la debolezza di una soluzione istituzionale che ha rimosso il principio di maggioranza reale, sostituito dal sistematico baratto di un mutuo soccorso senza che mai vi sia fusione di intenti e di convincimenti -, si troveranno di qui a non molto a rispondere e a fare i conti  con una condizione economica ulteriormente deteriorata. Per tutti: conti pubblici, conti privati, conti delle imprese, livelli di occupazione.

Stringeranno i denti fino al 26 maggio, data del voto europeo: ma poi  perderà di credibilità, oltre al luogo comune geopolitico di cui sopra, un proverbio dalla saggezza collaudata. Quello della cicala e della formica, che non funziona in presenza di due cicale populiste, che non guardano al di là dei traguardi effimeri del consenso quotidiano. E nemmeno nel caso – ,impossibile  in natura, ma  la politica è capace di tutto -,  di una cicala di ruolo e di una formica incompetente

*Apparso su “Il trentino” del 17 gennaio 2019. Comparse col consenso dell’Autore.

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)