di Alessandro Campi
La Lega vince, Forza Italia cede, il Pd arretra, il M5S perde. Complessivamente, il centrodestra sempre più condizionato da Salvini va molto meglio del centrosinistra (che deteneva la gran parte dei municipi in cui si è votato) e dei grillini non più di lotta ma di governo. Questa la sintesi – brutale ma sufficientemente veritiera – del turno amministrativo svoltosi domenica scorsa, che ha coinvolto 761 comuni italiani, comprese 20 città capoluogo,
di Alessandro Campi

La Lega vince, Forza Italia cede, il Pd arretra, il M5S perde. Complessivamente, il centrodestra sempre più condizionato da Salvini va molto meglio del centrosinistra (che deteneva la gran parte dei municipi in cui si è votato) e dei grillini non più di lotta ma di governo. Questa la sintesi – brutale ma sufficientemente veritiera – del turno amministrativo svoltosi domenica scorsa, che ha coinvolto 761 comuni italiani, comprese 20 città capoluogo, per un totale di 6 milioni e 700mila cittadini (ma ha votato, nuovo record negativo, solo il 61% degli aventi diritto). Un passaggio elettorale molto atteso, dopo il terremoto del 4 marzo e il varo, nemmeno quindici giorni fa, dell’esecutivo giallo-verde guidato dal neofita (ma già abbastanza popolare) Giuseppe Conte.

Ci si aspettava la conferma meccanica dell’onda lunga che ha portato, non senza travagli, alla nascita dell’asse tra Lega e M5S. Ma forse era pretendere troppo da una scadenza che per definizione è fortemente condizionata da variabili locali (in primis il fenomeno crescente delle liste civiche, anche se spesso sono camuffamenti dei partiti tradizionali che si vergognano dei loro simboli) e da fattori personali che spesso sconfinano nell’eccentrico. A Savona, tanto per dire, andranno al ballottaggio Claudio Scajola (l’ex ministro di Berlusconi messosi a capo di alcune liste civiche) e il candidato del centrodestra unito Luca Lanteri: uno scontro tutto in casa.  A Trapani, altro esempio, ha vinto al primo turno col 70% Giacomo Tranchida, alla guida di una coalizione di centrosinistra che però comprendeva anche pezzi significativi di centrodestra. Casi talmente anomali e particolari che difficilmente se ne possono trarre valutazioni d’ordine generale.

Ciò detto, delle linee di tendenza s’intravvedono anche con questo voto. La più evidente riguarda la Lega, che sta vivendo un momento politicamente magico. Da un lato, continua a crescere nei consensi soprattutto nel centro-nord. I suoi temi e slogan – ordine, sicurezza, lotta all’immigrazione clandestina, critica della globalizzazione, islamofobia, nazionalismo, “prima gli italiani” – sono ormai divenuti il senso comune di un blocco sociale che non ingloba solo il mondo moderato ma anche pezzi crescenti dell’elettorato che un tempo votava a sinistra. Colpisce il 30% ottenuto dal partito di Salvini nella roccaforte operaia di Terni o il 25% conquistato a Pisa. L’insicurezza economica, la paura del domani e lo sfilacciamento del tessuto comunitario hanno evidentemente investito anche l’Italia un tempo politicamente rossa, economicamente prospera e socialmente integrata intorno a valori condivisi e alle reti affaristico-clientelari costruite dal vecchio Pci e sopravvissute per anni alla sua dissoluzione.

Dall’altro lato, la Lega in questa fase vince sempre e comunque. Al centro, grazie all’accordo (pardon, al contratto) di governo con il M5S. E in periferia, dove già governa (e si appresta a governare in molto comuni) insieme ai suoi storici alleati del centrodestra. Ma, viene da chiedersi, quanto può durare una simile anomalia sistemica? Sul territorio pare infatti funzionare ancora la vecchia linea di divisione tra (centro)destra e (centro)sinistra. A livello nazionale, il nuovo discrimine – certificato dalla nascita della “grande alleanza” populista – sembra quello tra nuovo e vecchio, tra radicali e moderati, tra sovranisti ed europeisti. Attualmente la Lega è al centro di ogni possibile dialettica e la sfrutta a suo vantaggio. Ma prima o poi dovrà forse scegliere tra queste due alternative: cementare la propria alleanza col mondo grillino, nel nome della lotta all’Europa dei banchieri e dei “poteri forti”, rompendo definitivamente col resto del centrodestra, oppure fare di quest’ultimo, ormai ampiamente egemonizzato, il proprio esclusivo campo d’azione, rompendo dunque con i grillini. Appare difficile per la Lega tenere insieme le due diverse alleanze per troppo tempo.

Sarà probabilmente lo stesso Berlusconi a sollecitare una scelta di campo. Anche perché se è vero che Forza Italia soffre dalla Lombardia all’Umbria la concorrenza dell’alleato leghista, è anche vero che da Roma in giù (in particolare in Sicilia) il suo partito ha dato segni di una ritrovata vitalità, come dimostra la vittoria ottenuta a Catania al primo turno. Dal punto di vista del Cavaliere, il bipolarismo (a due facce) sul quale scommettere, anche nella prospettiva del governo nazionale, è piuttosto il seguente: nel centro-nord, quello tra centrodestra (a guida leghista) e centrosinistra; nel centro-sud, quello tra centrodestra (con i moderati forza ancora decisiva) e mondo grillino. Riuscirà il Cavaliere a convincere Salvini che questa è la strada giusta e che dunque bisogna ricompattare la loro storica alleanza?

Riguardo il M5S, arretrato in particolare proprio al Sud, dove appena tre mesi fa aveva vinto a mani basse, queste elezioni hanno dimostrato che il voto d’opinione (e di protesta) è cosa diversa dalla scelta di un amministratore locale, per la quale contano di più l’affidabilità personale, il radicamento territoriale e le logiche di scambio. Per i grillini è anche da meditare, se proiettata su scala nazionale, la lezione venuta dal voto in due importanti municipi della Capitale (l’VIII, vinto al primo turno dal centrosinistra, e il III, dove al ballottaggio andranno centrodestra e centrosinistra). Il risultato negativo ottenuto è anche un giudizio critico espresso sul sindaco Raggi. Agli elettori non bastano le promesse. Alla fine, in periferia come al centro, si viene valutati per ciò che si fa (o non si fa, o si fa con troppa lentezza). Il governo (Di Maio in testa) è avvisato.

Infine, il Pd. Confortano la vittoria al primo turno a Brescia e il primato conquistato ad Ancona e Avellino, ma i ballottaggi a Pisa, Massa e Siena (città simbolo, si diceva un tempo) sono fortemente a rischio. Il temuto crollo elettorale non c’è stato, ma il saldo finale, in termini di comuni governati, appare sin d’ora fortemente negativo. C’è da ricostruire un partito sul territorio, ma c’è anche da inventarsi una nuova leadership nazionale e, soprattutto, un’idea progettuale innovativa. Che certo non è quella che circola di un patto tra moderati da stringere con Forza Italia in funziona anti-populista. Sarebbe solo l’unione di due debolezze: non un fronte repubblicano di salvezza per l’Italia, ma una ridotta politica per la salvezza di una nomenclatura in crisi.

In questo quadro magmatico e spesso confuso, chi al solito si diverte come un pazzo è Vittorio Sgarbi. Da ieri è Sindaco di Sutri. Quanto tempo passerà prima che, preso da altre avventure, si dimetta dalla carica? Si accettano scommesse.

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