di Barbara Faccenda
Costruire una strategia coerente in Medio Oriente, una Regione strategicamente incoerente, non è certo un compito facile, ma quella di Trump è la manifestazione della durevole difficoltà che gli americani hanno nel comprendere come altre culture osservano la propria sicurezza, un’errata percezione che non si è originata con Trump, ma che sotto la sua presidenza sta raggiungendo livelli critici.
La cultura politica degli Stati Uniti è basata su due grandi idee: il governo esiste per provvedere agli interessi e migliorare il benessere dei suoi cittadini;
di Barbara Faccenda

Costruire una strategia coerente in Medio Oriente, una Regione strategicamente incoerente, non è certo un compito facile, ma quella di Trump è la manifestazione della durevole difficoltà che gli americani hanno nel comprendere come altre culture osservano la propria sicurezza, un’errata percezione che non si è originata con Trump, ma che sotto la sua presidenza sta raggiungendo livelli critici.

La cultura politica degli Stati Uniti è basata su due grandi idee: il governo esiste per provvedere agli interessi e migliorare il benessere dei suoi cittadini; le sue principali priorità consistono nel massimizzare la libertà individuale e la prosperità o almeno l’opportunità di essa.

Quello che gli americani alle volte dimenticano è che le condizioni che permettono a tali idee di mettere radici non sono universali. Nella loro storia, gli americani hanno potuto dare per scontato la loro sicurezza nazionale perché hanno affrontato poche grandi minacce esterne. I loro potenziali nemici erano molto lontani e le risorse del vasto continente americano erano così grandi che vi erano opportunità economiche per la maggior parte dei suoi cittadini. Il ruolo del governo, rispetto ad altre parti del mondo, era minore nel determinare chi diventava ricco o meno. Benessere e ricchezza erano disgiunti.

Nelle relazioni internazionali, almeno così come formulate da Washington, questa convinzione dell’universalità di una cultura politica americana diventa nota come “idealismo”, dichiarando essenzialmente che la filosofia politica interna debba guidare la politica estera. Per molte nazioni, l’invasione straniera o una disintegrazione statale sono reali e sono un problema incalzante dal momento che i loro nemici sono vicini. In Stati senza grandi risorse economiche e con un territorio esteso, il potere politico e la prosperità sono accuratamente uniti; ed è questo il caso del Medio Oriente.

Il Presidente Trump ha posto la politica americana in questa Regione in una traiettoria strategica molto differente da quella che ha ereditato. Tuttavia questa nuova direzione non ha sostanzialmente aumentato il potere americano o la sua abilità di influenzarne i risultati. Su conflitti regionali più complessi – i sunniti contro gli sciiti, l’Arabia Saudita contro l’Iran, le monarchie e gli autocrati secolari contro gli islamisti politici e i cittadini contro Stati corrotti e brutali – l’amministrazione Obama ritenne di non entrare nella mischia nella speranza di fungere, nel corso del tempo, da connettore di divisioni regionali. Ciò ha causato frizione. In contrasto, l’amministrazione Trump si è schierata decisamente da una parte: fermamente con le potenze sunnite contro l’Iran sciita; con i governi che cercano di schiacciare l’Islam politico; e, con l’evidente eccezione dell’Iran, completamente dalla parte delle prerogative dello Stato a discapito dei diritti degli individui.

Tale strategia pur contenendo il genuino vantaggio di ridurre il divario sulla fiducia, ha un costo reale. Tale costo è che la Regione ora è ancora più lontana da un equilibrio strategico e si muove verso una frammentazione statale e conflitti tra Stati. La nuova dinamica che è emersa nella Regione ha aumentato il potenziale per il conflitto tra Stati, dopo decadi dove la maggior parte dei conflitti erano all’interno di essi. La struttura statale esistente oggi nel Medio Oriente rimane debole e fragile e soggetta a nuove tensioni tra Stati nella Regione. Un rinnovato allineamento tra la Turchia ed il Qatar; l’onda crescente di nazionalismo in alcuni Paesi – Egitto, Arabia Saudita e parti dell’Iraq e della Siria – enfatizza il potenziale per una guerra più convenzionale che potrebbe esplodere nella Regione.

A trarre dei benefici dalla strategia di Donald Trump nel Medio Oriente è la Cina. Quando si trascinava la guerra degli Stati Uniti in Iraq, la Cina era libera di concentrarsi sul suo proprio sviluppo economico, la crescita del suo apparato militare e la costruzione di una soft power attraverso il suo raggio di azione economico ideologicamente neutrale, il silenzioso aumento del suo gioco diplomatico, gli investimenti in mega progetti regionali e considerevoli prestiti; tutto allo scopo di accrescere l’influenza nella Regione.

Il restringimento dell’influenza americana, l’erosione di alleanze di lungo corso e gli effetti debilitanti della dissonanza sulla sicurezza cresceranno diventando non solo una disabilità, ma forse un vero pericolo, concedendo spazio alla Cina perché cresca più risoluta.

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