di Luca Marfé
Socialista, ma milionario. Un ricco di sinistra, dunque, ma contrario alle frontiere aperte.
Assume dei connotati bizzarri il nuovo profilo del vecchio Sanders.
Classe 1941, 77 primavere e formalmente candidato tra le folte fila democratiche per la corsa alla Casa Bianca 2020: il senatore del Vermont ci riprova dopo essere stato costretto ad arrendersi a Hillary Clinton che a sua volta è stata costretta ad arrendersi a Donald Trump.
Ed è proprio da Trump che riparte,
di Luca Marfé

Socialista, ma milionario. Un ricco di sinistra, dunque, ma contrario alle frontiere aperte.

Assume dei connotati bizzarri il nuovo profilo del vecchio Sanders.

Classe 1941, 77 primavere e formalmente candidato tra le folte fila democratiche per la corsa alla Casa Bianca 2020: il senatore del Vermont ci riprova dopo essere stato costretto ad arrendersi a Hillary Clinton che a sua volta è stata costretta ad arrendersi a Donald Trump.

Ed è proprio da Trump che riparte, in una sfida che in queste prime battute si gioca a suon di dollari e di tasse.

In una lunga intervista rilasciata al New York Times, infatti, Sanders è chiamato a giustificarsi prima ancora di cominciare.

Perché?

Perché il suo conto in banca ha troppi zeri.

«Sì, sono milionario. Ho scritto un best seller e ho guadagnato molti soldi».

Soldi che si prepara in qualche modo a spiegare attraverso l’imminente pubblicazione delle sue dichiarazioni dei redditi degli ultimi dieci anni. Le stesse, tanto agognate dalla stampa a stelle e strisce, che Trump non ha mai voluto concedere né mai concederà.

Aspetto sul quale fa leva Sanders, nel tentativo di sottrarsi da un certo imbarazzo che resta comunque evidente.

Il paladino dei poveri, quasi ossessionato dalla necessità di una maggiore equità sociale, catapultato di colpo nella platea dei paperoni. Da cui prova a smarcarsi, sottolineando di non vantare né interessi né progetti sparpagliati in giro per il mondo (riferendosi con fare palesemente dispregiativo alla melmosa realtà delle Trump Tower), rimarcando di aver soltanto indovinato l’operazione editoriale di “Our Revolution”, ovvero di quella “rivoluzione” mancata che questa volta si dice pronto a realizzare per davvero.

I tempi sono maturi, ma Sanders non manca di spiazzare ancora.

Ad esempio sul dossier immigrazione che proprio il suo rivale ha contribuito a rendere incandescente tra muri, famiglie divise e crisi più o meno inventate.

«Le frontiere aperte sono di destra».

La teoria è paradossalmente molto semplice e affonda le sue radici nei princìpi del comunismo: l’aumento degli ingressi si traduce in una diminuzione dei salari che il candidato dem vuole viceversa alzare.

Ne scriveva, tanto per citare una fonte che non possa essere tacciata di fascismo, un certo Karl Marx in una lunga lettera nel lontano 1870.

C’è bisogno di più controlli, insomma, per arginare l’azione di un’imprenditoria desiderosa di avvalersi di leve a basso costo che Sanders a microfoni spenti etichetta come schiavitù.

A prescindere da come finirà la corsa appena iniziata, delle primarie democratiche prima e per la Casa Bianca poi, lui la sua rivoluzione l’ha fatta e addirittura l’ha vinta già.

E non nel conto in banca, ma nello scardinare dei dogmi oramai preconfezionati sui quali dimostra invece di saper ragionare in maniera lucida, da uomo libero.

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