di Chiara Moroni
 
Sara Bentivegna e Giovanni Boccia Artieri, Voci dalla democrazia. Il futuro del dibattito pubblico, il Mulino, Bologna, 2021, pp. 201
“Diciamo subito e con chiarezza che, a nostro avviso, il dibattito pubblico non è affatto morto. Il dibattito pubblico è vivo e ha un futuro, seppure profondamente diverso da quello del passato” (p. 10).
Come accade spesso per le analisi di questioni complesse ancora in atto, il confronto sul dibattito pubblico è profondamente influenzato da un approccio classicamente ancorato ai parametri critici del passato,
di Chiara Moroni

 

Sara Bentivegna e Giovanni Boccia Artieri, Voci dalla democrazia. Il futuro del dibattito pubblico, il Mulino, Bologna, 2021, pp. 201

“Diciamo subito e con chiarezza che, a nostro avviso, il dibattito pubblico non è affatto morto. Il dibattito pubblico è vivo e ha un futuro, seppure profondamente diverso da quello del passato” (p. 10).

Come accade spesso per le analisi di questioni complesse ancora in atto, il confronto sul dibattito pubblico è profondamente influenzato da un approccio classicamente ancorato ai parametri critici del passato, secondo un’idea che legge il prima come certamente più apprezzabile del dopo. Fermo restando la legittima riflessione in chiave dubitativa su quale sia stato il momento che ha visto prevalere in concreto, al netto quindi delle utopie e degli elitismi interpretativi, un dibattito pubblico critico, consapevole e volto al progresso del confronto e delle idee, l’arena pubblica contemporanea sembra deludere per dinamiche, qualità ed effetti sociali la maggior parte degli osservatori.

Il recente lavoro di due dei più attenti studiosi delle dinamiche comunicative negli ambienti digitali – Sara Bentivegna e Giovanni Boccia Artieri (in basso, nella foto) descrive innanzitutto, con l’indispensabile dettaglio esplicativo, l’errore corrente nell’attribuzione delle responsabilità di tale presunto decadimento. Così gli autori ricordano come il “riduzionismo comunicativo” rappresenti un approccio fin troppo legittimato che spinge ad una riduzione della realtà alla sola sfera comunicativa, marginalizzando il mondo politico e sociale, il ruolo delle dinamiche politiche e la volontà relazionale dei singoli.

All’attribuzione arbitraria ai media della responsabilità di ogni mutamento percepito come negativo, si affianca il “determinismo tecnologico” che accusa il web e i social media di contribuire al decadimento del dibattito pubblico per la loro stessa essenza. Entrambi questi due preconcetti impediscono all’analisi di cogliere la complessità del contemporaneo. Le trasformazioni del dibattito pubblico dipendono dalle trasformazioni della politica così come dalle trasformazioni del rapporto tra cittadini e politica.

Gli autori indicano gli elementi di contesto, culturali e di sistema, che incidono sulla natura del dibattito pubblico più che sulla sua qualità. Il primo riferimento è alla “democrazia dei pubblici” che spinge i leader politici alla continua ricerca, prima ancora del consenso politico, della mobilitazione estemporanea e contestualizzata dei propri sostenitori. Questa tendenza porta a privilegiare quei temi, e le relative rappresentazioni, che si mostrano come chiari, semplici e a breve termine.

Il secondo riferimento è alla natura dell’interazione dei cittadini sia con la politica sia con lo stesso ambiente nel quale esercitano la propria azione comunicativa. Se la competenza e il sapere vengono derubricati a portatori di un discrimine intollerabile, l’unica reazione possibile, non di rado verbalmente violenta, è la presa di parola immediata non finalizzata alla partecipazione in un contesto pubblico, ma piuttosto ad affermare una presenza in quel contesto, presenza che è fine a se stessa e che prescindere dalla propria qualità.

Bentivegna e Boccia Artieri descrivono, infine, un contesto mediale ormai in costante e rapida trasformazione, non tanto e non solo per l’accavallarsi e il sovrapporsi di nuovi strumenti, nuovi ambienti, nuove opportunità di trasmissione di relazioni e contenuti, quanto per le esigenze del “mercato dell’attenzione”. In questo rinnovato mercato la merce di scambio è la capacità di attirare l’attenzione dei pubblici, anche per tempi brevi e non ripetibili. La scelta dei temi, allora, risponderà alla logica della polarizzazione, inserita in narrazioni veloci che utilizzano principalmente il codice emotivo.

Con il riferimento di questo frame interpretativo articolato, gli autori affrontano i temi che definiscono il complesso articolarsi del dibattito pubblico contemporaneo, non negando distorsioni e tendenze negative, ma evidenziando le peculiarità oggettive e le opportunità future.

Il volume si sviluppa così a partire da una ricostruzione dell’evoluzione storica del dibattito pubblico in relazione al sistema della politica e a quello mediale, fino ad arrivare all’era attuale nella quale il dibattito pubblico è caratterizzato dalla “disintermediazione”. Il tema dell’introduzione e della diffusione del “linguaggio dell’ostilità” è riconosciuto come uno dei fenomeni che caratterizza non solo il dibattito, ma più in generale uno spazio pubblico che si è fatto multiforme e poliedrico. Il prevalere del linguaggio ostile e di contrapposizione violenta è non solo una prassi propria delle dinamiche di interazione tra cittadini e tra questi e la politica, ma spesso è lo stesso registro retorico degli attori politici.

Un altro degli elementi che contribuiscono alla messa in crisi del dibattito pubblico è il fenomeno della “manipolazione dell’informazione”, che si realizza attraverso i diversi fenomeni di misinformazione, disinformazione o realtà alternative e che gli autori descrivono riflettendo sulla moltiplicazione degli attori che possono immettere informazione manipolata, sulla notevole congruità di questo genere di notizie con l’attuale modello di business dell’informazione, sulla velocità con la quale si diffondono e sulla loro continua potenziale trasformazione da parte di altri attori con cui entrano in contatto.

Infine, ad un così complesso quadro esplicativo non poteva mancare il fenomeno della “polarizzazione comunicativa” alimenta dalla presunta difficolta per gli individui di entrare in contatto con punti di vista diversi e alternativi.

In definitiva, l’accurata analisi condotta da Sara Bentivegna e Giovanni Boccia Artieri è strumentalmente articolata alla dimostrazione che tendenzialmente lo scoraggiato confronto sulla salute del dibattito pubblico tende a confondere i sintomi con le cause. Il dibattito pubblico di oggi, ma probabilmente avvertono gli autori, anche quello di domani, può essere rappresentato come “una sorta di collage nel quale confluiscono voci e posizioni autorevoli e ufficiali; voci dell’opposizione, voci minoritarie che chiedono rappresentanza; voci di cittadini scoraggiati o indispettiti; voci di troll di professione che cercano di aumentare il volume del rumore e altre voci che appaiono di volta in volta in rappresentanza di istanze diverse” (p. 14).

Immaginare un dibattito pubblico con attori ben delineati nella natura e nelle funzioni che riescono a veicolare, imporre e definire temi, dinamiche e relazioni sembra ormai anacronistico. Liberarsi di questa visione novecentesca della società e delle relazioni comunicative che in essa di dispiegano permetterà di apprezzare, seppur con sguardo critico e vigile per le tendenze più conflittuali e deteriori, la natura poliedrica e ricca di potenzialità del dibattito pubblico contemporaneo.

Professore Aggregato di Sociologia dei Processi culturali e comunicativi, Università degli Studi della Tuscia 

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